
Una parte grigia della critica cinematografica ha definito "Top Gun”, piccolo grande capolavoro cinematografico di Tony Scott, come uno dei frutti deviati e pseudo-bellicisti della peggiore propaganda cinematografica dell'epoca reganiana. Eppure, ancora oggi, se qualcuno sente parlare di aerei da combattimento, forse, più che spesso, pensa a un caccia bimotore e biposto, con ali a geometria variabile imbarco su una portaerei che naviga a una dozzina di nodi in mezzo all’oceano sconfinato.
Un reattore progettato per garantire la superiorità aerea designato, nella longeva famiglia dei “Cat” che risalgono primi anni della seconda guerra mondiale, come F-14 “Tomcat”. Aereo straordinario e quasi ineguagliato, entrato in servizio con la Us Navy nel lontano 1972 come caccia intercettore supersonico a lungo raggio, rimpianto dal Pentagono e dalla storia anche nei tempi recenti che lo hanno visto, dopo il ruolo da “protagonista” del 1986, in un sequel che nel 2022 ha ottenuto - possiamo dirlo per con i dati alla mano - un successo più che meritato. Stiamo parlando ovviamente di "Top Gun Maverick”.
Dove il mitico Tomcat fa una comparsa da perfetta operazione nostalgia in una situazione quanto mai "attuale", quando in una indeterminata regione del mondo i piloti della Marina scelti per portare a termina una missione quasi impossibile - come nella consuetudine celluloide di Tom Cruise, che secondo White di Breat Easton Ellis si consacrò proprio in quegli anni ruggenti di Hollywood - sono costretti a "tornare alla base" su un aereo che non ha nulla a che fare con l’F/A-18 “Super Hornet” sui quale sono arrivati nello "spazio areo ostile" e assolutamente "non permissivo" che li attendeva.
Così, nello scenario “estremamente simile” a quello che stanno affrontando i piloti da caccia israeliani, una remota base aerea dotata di vecchi caccia F-14 viene “violata” per catturare un mezzo quanto meno adeguato per tornare a casa.
Stranamente la base non era troppo distante da una sito simile alla Shahid Ali Mohammadi Nuclear Facility di Qom, uno dei centri nevralgici nel programma nucleare iraniano protetto da impenetrabili montagne; né dalla base di Mehrabad dove i leggendari “Tomcat” dell’Iranian Air Force sono stati distrutti a terra nel corso dell’Operazione Am Kelavi. Per noi Operazione Leone Nascente.
Quei vecchi aerei da guerra a cui era affidata un'improbabile difesa dello spazio aereo dell'Iran minacciato dalle incursione dei caccia di ultima generazione israeliani, erano proprio una concessione degli Stati Uniti, che durante l'amministrazione Nixon concessero allo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi, l'acquisizione di un certo numero di caccia avanzati in grado di intercettare i MiG-25 sovietici.
La scelta del "Project Persian King" ricadde sugli F-14 Tomcat, che giunsero nel 1976. Appena una manciata di anni prima della rivoluzione islamica che rovesciò lo Scià.
Oggi quei vecchi caccia, i "Persian Tomcat", non esistono più. Abbattuti a terra senza avere l'opportunità confrontarsi con un vero avversario che avrebbe avuto senza dubbio la meglio nei duelli aerei che sono molto, molto diversi dalla maggior parte dei "dog-fight" che ci ha mostrato quel cinema sensazionale, o reganiano se volete; ma che sono una delle vere ragione per cui la maggior parte dei piloti che hanno avuto accesso alla Top Gun hanno scelto una vita di privazioni e sacrifici per guadagnarsi le ali di pilota da caccia.
E se questi toni sono bellicisti, non possiamo che domandare scusa. Abbiamo visto le pellicole di Scott; abbiamo visto le manovre del tenente di vascello Pete Mitchell, nome di battaglia "Maverick"; abbiamo visto i volti dei piloti che conducono le missioni sul Mar Rosso decollando dalle portaerei statunitensi per proteggere le rotte commerciali e la sicurezza delle navi civili.
E abbiamo visto, proprio nei giorni scorsi, quelli dei nostri piloti della Marina Militare. Forse siamo stati contagiati, e siamo di parte. Può succedere a chi è nato quando c'era ancora la Guerra Fredda.