Le Onlus facenti capo ad organizzazioni proPal sono state scoperte con le mani nel sacco: i denari versati dai creduloni che pensavano di sfamare i bambini di Gaza sono finiti nelle mani insanguinate degli hamassassini che da anni tengono in ostaggio i poveri palestinesi per scatenare l'odio contro Israele e l'Occidente.
Naturalmente ora avremo manifestazioni di piazza per liberare i patrioti ingiustamente incarcerati...
Bruno Peiré
Genova
Caro Bruno,
hai scritto una lettera che non profuma di buonismo natalizio, ma di realtà. E siccome la realtà, oggi, viene considerata un reato d'opinione, capisco già che qualcuno si sentirà offeso. Pazienza: si offendono sempre quelli che vivono bene dentro le bugie. Il punto è semplice: nel 2025 abbiamo assistito al trionfo del finto pacifismo. Un pacifismo a senso unico, urlato, aggressivo, spesso violento, che si è presentato come umanitario mentre sventolava bandiere e slogan che con la pace non hanno nulla a che vedere. È stato l'anno delle piazze che si dicevano pacifiche e poi diventavano intimidazione, odio, ricatto morale, propaganda. E, guarda caso, sempre con il vestillo palestinese trasformato non in simbolo di un popolo, ma in strumento politico, in clava, in identità militante: «Se non stai con noi, allora sei un mostro». Il metodo classico dei totalitarismi. Ora, a fine anno, il vaso di Pandora si scoperchia davvero. Perché quando la retorica si scontra con le carte giudiziarie, la retorica perde. E dalle carte, non dai tweet indignati, non dai presìdi per la pace, non dalle lacrime televisive, emerge un sospetto pesantissimo: che una parte di quel denaro raccolto in nome dell'umanitarismo abbia alimentato, direttamente o indirettamente, la filiera dell'estremismo e del terrorismo. Non pane e latte, ma apparati, reti, consenso, sostegno a famiglie di terroristi o di detenuti per reati terroristici, cioè esattamente quel tipo di welfare ideologico che tiene in piedi i gruppi armati: tu fai la guerra, io ti garantisco che la tua famiglia non resterà sola. È un incentivo. È carburante.
E qui arriva il punto che molti fingono di non capire: Hamas non è un'associazione di beneficenza. Hamas è un'organizzazione terroristica, lo dicono gli Stati, lo dicono le istituzioni, lo dice la storia, lo dicono i cadaveri. Hamas non resiste: Hamas governa col terrore, usa i civili come scudi, usa la miseria come propaganda, usa il dolore come bancomat morale. E soprattutto, cosa che ai pacifinti fa venire l'orticaria, tiene in ostaggio prima di tutto i palestinesi stessi. Chiunque lo dica viene accusato di islamofobia o razzismo, così la discussione finisce lì e loro possono continuare a fare i puri senza mai sporcarsi le mani con la verità. Tu scrivi: «I creduloni pensavano di sfamare i bambini di Gaza». Ecco, io non mi accanisco nemmeno sul credulone: in un mondo normale, la carità sarebbe una virtù.
Il problema è che nel mondo reale la carità è diventata un'arma, perché c'è chi sa manipolarla. Questo non è pacifismo. È militanza travestita da umanitarismo. È propaganda. E quando quella propaganda, invece di nutrire i civili, finisce per sostenere chi pratica il terrore, allora non è più soltanto un inganno, bensì è una complicità. E sì, tu hai ragione su un altro punto: adesso vedremo che qualcuno scenderà in piazza a chiedere libertà per coloro che vengono indagati o arrestati, chiamandoli patrioti, inermi, perseguitati. Li dipingeranno come martiri.
È un copione vecchio come il mondo. Prima negano, poi minimizzano, poi piangono, poi accusano lo Stato di repressione. Lo Stato, in questa narrazione, non deve mai difendersi: deve solo chiedere scusa. Anche quando ha ragione. Anche quando, finalmente, fa il suo lavoro. Sai qual è la vera oscenità? Che questo finto pacifismo si è presentato come superiore moralmente, mentre spesso è stato il contrario della pace: intimidatorio, aggressivo, manicheo, incapace di condannare con chiarezza il terrorismo, pronto a giustificare tutto pur di non ammettere che il proprio racconto aveva buchi grandi come crateri. Il 2025, insomma, ci lascia in eredità una verità scomoda: abbiamo allevato una cultura dell'alibi, dove qualunque cosa pur di non guardare in faccia la realtà. E la realtà è che se raccogli fondi e quei fondi sovvenzionano la strategia di un gruppo terroristico, non stai aiutando i bambini. Stai semplicemente prolungando la guerra. Stai aiutando chi ha interesse a mantenerla. Stai alimentando la macchina che produce morti. È durissimo ammetterlo, lo so. L'augurio che faccio, a chiusura dell'anno, è banalissimo e rivoluzionario: torniamo a chiamare le cose col loro nome. La solidarietà non è un lasciapassare per la cecità. Il pacifismo non è un travestimento per l'estremismo.
E chi sventola una bandiera per coprire il terrore non merita mica applausi. Merita domande, controlli, rigore. Il 2025 finisce così. Con la maschera che cade miseramente. E quando la maschera cade, molti scoprono di aver marciato per la pace divenendo, senza volerlo o volendolo, complici.