
Potremmo chiamarle prove generali di Guerra fredda 2.0. Perché se l'Ucraina è lo sfondo di una tela, i colori vengono impressi da Trump che minaccia Putin con il riposizionamento dei sottomarini nucleari in aree più vicine alla Russia, e dallo zar che risponde di non ritenersi più obbligato a rispettare la moratoria sul dispiegamento di missili a corto e medio raggio. Il documento, noto come Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty (Inf), venne firmato l'8 dicembre 1987 da Reagan e Gorbacev e segnò un momento fondamentale nel disgelo tra le due super-potenze, concretizzatosi soprattutto con la caduta del Muro di Berlino. Tuttavia il 1° febbraio 2019, nel corso della prima amministrazione Trump, gli Stati Uniti si ritirarono proprio per le continue violazioni dell'accordo da parte dell'altro firmatario. Mosca oggi ha deciso di intraprendere la stessa strada, e il ministro degli Esteri Lavrov spiega che sarà la leadership russa a decidere le «misure di risposta e lo schieramento eventuale di missili, sulla base della portata del posizionamento di quelli americani e di altri Paesi occidentali», senza perdere di vista la situazione nel campo della sicurezza internazionale e della stabilità strategica. Ora gli animi sembrano di nuovo surriscaldarsi, e la visita prevista per giovedì dell'inviato speciale Usa Witkoff al Cremlino servirà a comprendere quali saranno i nuovi scenari, non solo in chiave del conflitto ucraino, ma della sicurezza dell'Europa. Per il momento Trump si è limitato ad annunciare sanzioni a Mosca «anche se sembrano bravi a evitarle», e a introdurre dazi secondari al 100% contro chi collabora con i russi. Nel mirino ci sarebbe l'India.
Sul campo, nell'impossibilità di contrastare le truppe di terra, Kiev si affida alle operazioni sotto copertura del servizio d'intelligence (Sbu) per mandare in cortocircuito la macchina militare russa. Un blitz all'aeroporto militare di Saki, nella Crimea occupata, ha provocato il danneggiamento di almeno 4 caccia. Ieri notte inoltre un ordigno è esploso sui binari di una stazione nel Volgograd, paralizzando la circolazione dei treni tra Mosca e San Pietroburgo. È il settimo attacco nel giro di due settimane, tutti messi a punto per generare la paralisi del trasporto su rotaia di mezzi militari che dalla Federazione viaggiano verso il confine.
Nel 1.258° giorno di scontri, le forze russe hanno attaccato quasi tutti gli oblast con missili ipersonici Kinzhal e 162 droni. Mosca sostiene di aver distrutto un hub militare, ma tace sulle tragiche conseguenze per i civili: 11 morti e 23 feriti. Zelensky, che ha visitato le truppe sul fronte di Vovchansk, corre ai ripari con l'aumento della produzione di droni intercettori, che hanno il potenziale per essere l'alternativa economica e abbondante all'uso di missili di difesa aerea occidentali, le cui scorte sono in esaurimento e alcuni alleati sono riluttanti a fornire.
Il presidente ucraino inoltre incassa il pacchetto armi che i Paesi Bassi hanno acquistato per 500 milioni di euro dagli Usa. Nel Donbass (le milizie di Mosca avanzano di 10 km a Pokrovsk) gli ucraini segnalano mercenari di Cina, Africa e Asia che combattono con la Russia.