Mar-a-Lago, atto secondo. La residenza privata di Donald Trump, in Florida, si trasforma per il secondo giorno consecutivo nell'ala diplomatica della Casa Bianca. Dopo il leader ucraino, Volodymyr Zelensky, ieri è stata la volta di Benjamin Netanyahu, definito dal padrone di casa non solo «un ottimo premier», ma «un eroe di guerra senza il quale Israele non esisterebbe». Lodi reciproche, con «Bibi» che ribadisce quanto Israele non abbia «mai avuto un amico così grande» e annuncia di voler dare per la prima volta in 80 anni il Premio Israele, la più alta onorificenza civile, proprio a Donald. Nel mezzo anche un apparente incidente diplomatico, dopo che Trump ha ribadito che al premier israeliano «dovrebbe essere concessa la grazia nel suo processo penale» e che il provvedimento del capo dello Stato israeliano «è in arrivo», una circostanza che il presidente Isaac Herzog ha smentito, ma che conferma come l'incontro apra anche la fase di campagna elettorale in vista del voto di ottobre 2026 in Israele.
Prima del faccia a faccia con «Bibi» (il sesto del 2025, se si include anche la visita del 13 ottobre per celebrare lo storico cessate il fuoco a Gaza), il presidente americano ha voluto mettere a tacere le voci di presunte tensioni con Netanyahu e ha confermato davanti ai giornalisti l'amicizia di ferro, dicendosi pronto a unirsi «molto velocemente» a un nuovo attacco all'Iran, se il regime di Teheran tenterà di ricostruire il suo programma nucleare. «Eradicheremo qualsiasi riarmo», promette. Ma il piatto forte di giornata è stato e resta Gaza. Trump ha smania di dimostrare che il cessate il fuoco nella Striscia funziona, che andrà avanti. Nonostante le indiscrezioni sull'insofferenza della Casa Bianca per presunte violazioni israeliane della tregua, il tycoon ha annunciato che la Fase Due comincerà «il più velocemente possibile» e la ricostruzione di Gaza «presto», ma a una condizione: «che Hamas sia disarmata a breve o sarà l'inferno». Parole in piena sintonia con la linea di Netanyahu, convinto che non possa esserci ulteriore ritiro delle sue truppe dalla Striscia senza il disarmo totale degli islamisti e che per ottenerlo serva ancora la minaccia del ritorno a nuove azioni militari nella regione, dal Libano alla Siria fino all'Iran, dove il regime continua a reprimere le proteste di piazza esplose a causa dell'inflazione.
L'obiettivo del presidente americano è l'avvio della seconda fase a inizio 2026 e dunque la formazione della forza di Stabilizzazione internazionale, nella quale Trump dice che vedrebbe bene soldati turchi, nonostante la contrarietà di Gerusalemme: «Non ci saranno problemi con la Turchia», annuncia. C'è poi il via alla ricostruzione e la nascita del «Board of Peace», quel Consiglio di pace transitorio che coordinerà i finanziamenti e lo sviluppo economico del dopoguerra.
Ma l'ostacolo principale del piano sono i terroristi. Il nuovo portavoce dell'ala militare di Hamas, Abu Obeida, ai vertici delle Brigate Al Qassam, ha ribadito forte e chiaro che il gruppo estremista «non rinuncerà alle armi finché l'occupazione continuerà, non si arrenderà e - se sarà il caso - continuerà a combattere a mani nude». La strada resta in salita. Anche perché Israele e Hamas hanno firmato finora solo un'intesa sulla prima fase, che per concludersi attende il ritorno dell'ultimo ostaggio defunto. Netanyahu e la moglie Sara hanno incontrato ieri, sempre in Florida, i genitori dell'ultimo rapito ancora nella Striscia, il sergente maggiore Ran Gvili. Alla madre, che ha viaggiato sul volo del premier, il leader israeliano ha garantito «che si sta facendo tutto il possibile per dare al loro eroico figlio una sepoltura ebraica».
Il premier israeliano ha incontrato ieri anche il segretario alla Difesa americano Hegseth, il capo della diplomazia Rubio e ha parlato in videochiamata con il miliardario Elon Musk di intelligenza artificiale, auto e della visita del patron della Tesla e di X in Israele il prossimo marzo. Nella speranza che, per quella data, la Fase Due a Gaza sia già avviata.