Trump con Putin sbaglia i conti: lo Zar non vuole nessuna tregua. Armi e sanzioni sono l’unica via

Per il tycoon il calo del petrolio può spingere Mosca a trattare. Ma la chiave resta la pressione

Trump con Putin sbaglia i conti: lo Zar non vuole nessuna tregua. Armi e sanzioni sono l’unica via
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L’ultima sparata di Donald Trump sul conflitto russo-ucraino è la seguente: saranno i prezzi del petrolio in calo a costringere Vladimir Putin alla tregua. Di tante stravaganze del presidente americano, sempre sbilanciate in favore dell’uomo del Cremlino che lui tanto ammira, questa spicca per insensatezza. Perché c’è un errore di fondo in questa pretesa lettura trumpiana: i danni provocati alla Russia dal calo delle entrate da export di idrocarburi sono già stati messi in conto da Putin, che ha trasformato l’economia del suo Paese in un’economia di guerra. Ormai il 30 per cento di ciò che viene prodotto in Russia serve a continuare il conflitto, sicché Putin avrebbe più problemi dal fermare la guerra che dal proseguirla. In ogni caso, grattando sempre più il fondo del barile, la Russia dispone di risorse sufficienti a continuare a combattere per almeno due anni.

È tipico dell’uomo d’affari Trump sopravvalutare i fattori economici nelle relazioni internazionali. Se Putin avesse fatto solo calcoli economici, non avrebbe mai attaccato l’Ucraina. Per sconfiggere la quale – e non ci sta riuscendo nonostante l’avvicinarsi al concetto estremo di mobilitazione totale – l’economia russa sta subendo contraccolpi pesantissimi. Ma il dittatore di Mosca è spinto da altre motivazioni, prima fra tutte l’ambizione di passare alla Storia come il rifondatore dell’impero russo. Con questo traguardo davanti agli occhi, Putin non attribuisce alcuna importanza al milione di vittime russe che questa guerra è già costata. Ragione per cui, come dimostrano i fatti di questi mesi, egli lavora in direzione esattamente opposta a una tregua, incaricando la sua diplomazia di imporre condizioni inaccettabili per Kiev e più in generale di fingere che per essa si stia impegnando.

È molto difficile credere alla buona fede di Trump quando dice di considerare seriamente di imporre più dure sanzioni a Mosca e di confidare che anche per questa strada si arrivi a una tregua tra Russia e Ucraina. Le pretese russe per concederla equivalgono all’imposizione di una resa a Kiev, come ha ben notato il ministro tedesco degli Esteri Johann Wadephul in visita ieri nella capitale ucraina. Wadephul ha ribadito il sostegno della Germania all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, un segnale opposto alle pretese di Putin che Zelensky ha molto apprezzato: a Berlino sanno che non c’è in vista alcuna tregua.

A Kiev, l’inviato del cancelliere Merz ha certamente discusso, a porte chiuse, del tema più delicato per Zelensky: la fornitura di armi e di sistemi difensivi. Non a caso il presidente ucraino ripete incessantemente che solo la deterrenza può portare a una tregua: e la deterrenza discende dalla capacità difensiva. L’industria tedesca svolge oggi un ruolo chiave nella produzione soprattutto di droni, l’arma rivoluzionaria che sta consentendo all’Ucraina di resistere alla Russia in condizioni di oggettiva inferiorità.

A proposito di lacrime di coccodrillo su una tregua che non ci sarà.

Ieri ne ha versate di copiose, quanto insincere, il dittatore nordcoreano Kim Jong-un ai funerali dei caduti del suo contingente militare inviato a sostenere la guerra di Putin all’Ucraina. Una cinica recita: in cambio di qualche migliaio di morti egli ottiene da Mosca tecnologia nucleare e forniture alimentari che gli interessano molto ma molto di più.

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