Il dedalo di Gaza, gli scudi umani e il fronte nord: tutti i rischi dell'offensiva di Israele

L'avanzata via terra è l'opzione prediletta dai comandi militari israeliani, ma è anche densa di inside politiche, tattiche e strategiche

Il dedalo di Gaza, gli scudi umani e il fronte nord: tutti i rischi dell'offensiva di Israele

La guerra di Israele ad Hamas si avvicina al suo quattordicesimo giorno con le parole del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant che hanno reso sempre più evidente l'imminenza dell'avanzata terrestre su Gaza. Una realtà resa evidente anche dalle foto satellitari che hanno mostrato, come si può vedere dal New York Times, un graduale assembramento di uomini e carri armati lungo il confine della Striscia: lungo le rotte considerate fondamentali per mettere in atto l'operazione via terra.

Le Israel defense forces negli ultimi giorni hanno provato a instillare dei dubbi. Alcuni esponenti delle Tsahal hanno suggerito che l'attacco via terra sarebbe stato realizzato ma non nell'immediato. Altri, invece, hanno suggerito che la fase dell'avanzata era da considerare "non inevitabile". Altri ancora avevano sottolineato che poteva trattarsi di una fase del conflitto contro Hamas, ma non necessariamente la prossima.

Ipotesi fino all'ultimo al vaglio del gabinetto di guerra che, convinto della necessità dell'operazione terrestre, si è trovato comunque davanti a una serie di fattori impossibile da sottovalutare per dare il via libera all'esercito.

Una guerra "lunga"

Le frasi del capo di Stato maggiore israeliano, Herzi Halevi, e di Netanyahu sulle aspettative di una guerra lunga e faticosa inducono a credere che l'assedio possa durare più tempo del previsto. Ma indicano anche che ci troviamo di fronte a un conflitto che potrebbe essere non semplice da risolvere in pochi giorni o settimane anche entrando a Gaza. Le Israel defense forces, in definitiva, mettono in conto che la battaglia per Gaza e per il nord della Striscia possa essere difficile e cruenta. Questa consapevolezza traspare anche dal numero dei riservisti richiamati dalle forze armate israeliane (360mila unità), che si aggiungono ai militari di carriera così come ai numerosi mezzi terrestri, aerei e navali schierati (e già impiegati) per la guerra ad Hamas. Numeri per i quali, come ricorda l'inviato del Corriere della Sera Lorenzo Cremonesi, si pone anche il problema del costo economico, visto che un tale numero di riservisti non solo va mantenuto, ma rappresenta anche forza lavoro sottratta alle rispettive professioni.

Il fattore temporale probabilmente ha fatto anche ritardare l'arrivo del "redde rationem" promesso da Netanyahu dopo l'attacco compiuto dall'organizzazione palestinese il 7 ottobre. Perché una guerra lunga nella Striscia di Gaza si caratterizza anche di altri fattori da tenere in considerazione.

L'elemento territoriale: Gaza

In primo luogo, c'è un fattore geografico. Una guerra combattuta tra Gaza city e altre aree della Striscia si giocherà su un misto di aree urbane e villaggi in cui i miliziani di Hamas e del Jihad islamico palestinese hanno plasmato la loro struttura militare. Questo non significa paragonare la tecnologia né la potenza di fuoco tra Tsahal e milizie palestinesi. Tuttavia, non va sottovalutato che decine di migliaia di uomini pronti a tutto e che hanno vissuto dove combattono, tanto più in difesa, rendono la battaglia estremamente complessa. Una cifra umana cui deve aggiungersi la presenza di milioni di civili che rischia di far sì che la battaglia per Gaza si trasformi in un bagno di sangue.

Hamas e Jihad islamico non sono sottovalutati

Un secondo elemento è l'infrastruttura militare costruita in questi anni da Hamas e Jihad islamico palestinese, ed è quella composta dagli arsenali, avamposti ma soprattutto dei famigerati tunnel.

L'attacco del 7 ottobre ha fatto capire a Mossad e Shin Bet che la sottovalutazione del potenziale bellico delle forze della Striscia è stata evidente. Inoltre, è molto probabile che entrambe le organizzazioni non abbiano mostrato tutto il loro potenziale, considerato che proprio in questi giorni si è palesata una forte riduzione del numero di razzi lanciati contro Israele, probabilmente per mantenere intatto il numero di missili da usare contro le Idf in caso di avanzata via terra. Hamas può servirsi, insieme al Jihad islamico, di migliaia di razzi tanto acquisiti dall'esterno, in larga parte di fabbricazione iraniana, quanto "artigianali", come spiega Rid. Inoltre, molte armi sono prodotte all'interno della Striscia attraverso fabbriche segrete, sotterranee e soprattutto grazie a una notevole capacità di trasformazione di componenti metalliche: come mostrato anche dai video di propaganda con cui si vedevano tubi trasformati in lanciarazzi.

Tunnel e scudi umani

Un altro punto a questo proposito è poi legato ai tunnel. La rete "metropolitana" costruita da Hamas è tentacolare, in gran parte nascosta, capace di rivelarsi un labirinto fatto di trappole e con sbocchi disseminati in aree o edifici civili. La possibilità che la popolazione sia di fatto usata come scudo umano è plausibile, e le Idf hanno gli occhi della comunità internazionale puntati addosso. Certo è che entrare in quel dedalo non solo è difficile, ma anche profondamente rischioso. Le Idf faranno di tutto per distruggere definitiva l'infrastruttura sotterranea della Striscia, ma si tratta di una rete che scende di decine di metri in profondità e al cui interno può nascondersi di tutto.

Pericolo di minare i rapporti con i vicini e la catastrofe umanitaria

Un terzo elemento da tenere in considerazione è anche la pressione internazionale. Una pressione che si declina in diverse sfaccettature. Da una parte c'è il mondo arabo in subbuglio, e con cui Netanyahu, con l'avvio degli Accordi di Abramo, ha tentato di avere un approccio molto diverso e volto al mutuo riconoscimento. Una guerra devastante contro Gaza potrebbe avere, come già si è potuto vedere, ripercussioni molto gravi sui rapporti tra lo Stato ebraico e i vicini, così come con i potenziali futuri partner.

È chiaro dunque che Israele abbia necessità di non interrompere un percorso diplomatico già avviato. E può farlo soltanto facendo in modo di non scatenare la sua vendetta in modo indiscriminato sulla popolazione. L'attenzione è rivolta sia alle conseguenze dei raid, sia alla gestione dell'assedio e dell'area di conflitto, in cui gli aiuti umanitari giocano un ruolo fondamentale.

L'avvertimento di Biden a Israele

Dall'altra parte, c'è la pressione degli Stati Uniti, il cui presidente Joe Biden ha sì approvato l'operazione per colpire e rendere inoffensiva Hamas, ma ha anche ricordato di non "commettere errori" ricollegandosi alla politica americana post-11 settembre. Il concetto è dunque chiaro: come Washington ebbe la necessità di vendicarsi dell'attacco subito, allo stesso modo Biden ha di fatto ammesso che gli errori nelle guerre combattute successivamente agli attentati terroristici di Al Qaeda e sulle modalità di gestione hanno risolto un problema ma ne hanno anche creato altri.

Gli Stati Uniti non vogliono che dal conflitto a Gaza scaturisca la sconfitta di Hamas e del Jihad islamico palestinese ma un vuoto di potere che può trasformarsi in un abisso di profughi e anarchia e con i Paesi arabi in subbuglio che già guardano a Cina e Russia come interlocutori privilegiati. E Netanyahu è anche per questo che prima di muovere le truppe ha aspettato l'arrivo di Biden in Israele.

Il rischio del fronte nord

Gli Usa e le potenze regionali, inoltre, sono preoccupati anche dal fatto che l'invasione di Gaza possa accendere altri fronti. Il nord ribolle e dal Libano è incessante il lancio di razzi. Diverse fonti hanno suggerito che l'America stia premendo su Hezbollah, il partito-milizia filoiraniano, per scongiurare un suo intervento diretto contro Israele. Finora tutto è rimasto circoscritto a lanci di missili, qualche infiltrazione e risposte dell'artiglieria israeliana.

Una tensione pericolosa e costante ma ancora non in grado di sfociare in un conflitto aperto. Tuttavia, finché attraverso i canali di comunicazione tra le parti non arriva la garanzia di un fronte libanese sedato, tutti temono che un assalto alla Striscia di Gaza possa far reagire i miliziani di Hezbollah o anche solo alcune frange più radicalizzate e non controllate totalmente né da Teheran né da Hassan Nasrallah.

Capire il post-invasione

Resta poi un altro punto interrogativo: qual è la "exit strategy" di Israele? Il gabinetto di guerra ello Stato ebraico ha fatto capire di volere cancellare Hamas dalla Striscia di Gaza, ma resta il nodo di come si possa invadere Gaza, sconfiggere Hamas e il Jihad islamico, dichiarare la vittoria e poi semplicemente ritirarsi. Cosa succede dopo? Qualcuno, come scrive il Corriere, ipotizza addirittura un intervento delle Nazioni Unite come un'amministrazione temporanea. Ma è chiaro che una guerra deve iniziare avendo obiettivi tattici e strategici chiari.

Gli ostaggi a rischio

Infine, rimane il nodo degli ostaggi. Israele sa che la vita dei suoi cittadini e dei cittadini di forze alleate rapiti dai terroristi è un elemento essenziale. Lasciare che muoiano sotto le bombe o perché oggetto di rappresaglie, o semplicemente che siano usati drammaticamente come strumento di pressione è un problema enorme per Netanyahu e i suoi generali. E lo stesso Biden ha detto di considerare al questione dei rapiti di assoluta priorità.

È possibile che, come già annunciato alcuni giorni fa, le Idf siano entrate con incursioni mirate all'interno della Striscia per raccogliere informazioni, stanare covi e ripulire il terreno per l'avanzata. Ma la vita dei sequestrati è centrale e può diventare un problema enorme per l'opione pubblica provata dall'attacco del 7, dai lanci di razzi e dall'ansia della guerra.

Le parole del ministro dell'economia israeliano, Nir Barakat, secondo cui si farà "ogni sforzo per riportare a casa i nostri ostaggi", ma "la prima e unica priorità" è la distruzione di Hamas, sottintendono che non si possa escludere che molti ostaggi periscano durante l'avanzata via terra. O per scelta dei terroristi o per loro utilizzo come scudi umani.

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