Guerra in Ucraina

Zelensky parla di vittoria sui russi, Biden di "pace giusta"

La visita del presidente ucraino negli Usa conferma quello che da tempo si nota tra i due alleati: una differenza di vedute sull'esito finale del conflitto. Due editoriali della stampa Usa spiegano cosa c'è dietro alla a questa distanza tra Washington e Kiev

Zelensky parla di vittoria sui russi, Biden di "pace giusta"

David Ignatius, una delle penne più autorevoli del Washington Post, annota che le distanze tra la Casa Bianca e Zelensky, già evidenziate dai media nei mesi scorsi, non sono state affatto colmate dal viaggio del presidente ucraino negli Stati Uniti. Il cronista, infatti, ammonisce a non interpretare erroneamente quanto avvenuto: al di là degli onori e degli applausi tributati all'ex comico ucraino, quello di Washington è stato "un vertice di guerra. E sembra essersi concluso con un divario tra i due alleati sulle loro strategie per porre fine al conflitto".

Ciò, secondo Ignatius, è evidenziato anzitutto dall'ulteriore rigetto alla richiesta di Kiev per ottenere missili a lungo raggio, già rifiutati in passato. Interpellato sulla questione nell'ultima conferenza stampa, scrive Ignatius, "Biden ha risposto che fornire all'Ucraina armi d'attacco così potenti 'aprirebbe la prospettiva di smantellare la NATO'", perché i Paesi NATO "non stanno cercando di iniziare una guerra con la Russia. Non stanno cercando la terza guerra mondiale".

"Biden - commenta Ignatius - ha esposto la questione come fosse un desiderio degli alleati. Ma evitare un conflitto diretto tra Stati Uniti e Russia è stato uno degli obiettivi centrali del presidente durante questa guerra".

L'annotazione di Ignatius non suona nuova, anche il New York Times aveva sottolineato come la Casa Bianca avesse rifiutato ancora una volta i missili a lungo raggio a Kiev. Questo il titolo del relativo articolo: "La lista dei desideri di Zelensky sulle armi è rimasta per lo più insoddisfatta nel viaggio a Washington".

Vittoria o pace

Nuovo, invece, quanto Ignatius fa notare in un'altra parte dell'articolo. Il cronista, infatti, annota che mentre Zelenky insiste sul tema della vittoria sulla Russia, Biden è molto più cauto sul punto. "Questa guerra - scrive Ignatius - quasi sicuramente non finirà con la totale eliminazione del potere bellico russo, ciò spiega perché Biden resista attivamente alla retorica della 'vittoria totale'".

Una differenza notata anche nel corso della visita di Zelensky a Washington. Infatti, Ignatius riferisce che nei suoi interventi "Zelensky ha usato la parola 'vittoria' 11 volte nel suo discorso [al Congresso] e una volta durante la conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca dopo l'incontro con il presidente Biden. Significativo che Biden non abbia mai usato questa parola. Invece, ha assicurato il suo sostegno alla 'determinazione indistruttibile dell'Ucraina... perché possa scegliere la propria strada' e ha promesso: 'Saremo con voi per tutto il tempo necessario'".

"C'è un'altra sottile tensione nel modo in cui i due leader immaginano questo conflitto", scrive Ignatius, spiegando che per Biden "si tratta di fermare Vladimir Putin". Quindi, "quando Putin si renderà conto che 'è evidente che non può assolutamente vincere questa guerra', ha detto Biden, allora Zelensky potrà 'decidere come porre fine a questa guerra' per cercare una 'pace giusta'.

Anche Zelensky ha parlato di pace, per poi tornare sui suoi passi, avvertendo il pericolo di cedimento. Infatti, ha usato una "formulazione un po' diversa" da quella del presidente Usa e ha chiarito: "Una pace giusta non so. Non so cosa sia la 'pace giusta'. È un concetto molto filosofico. … Per me, in qualità di presidente, la pace giusta non è un compromesso sulla sovranità, sulla libertà e l'integrità territoriale del mio paese, ma la vendetta per tutti i danni inflitti dall'aggressione russa”. E qui occorre "un'avvertenza - conclude Ignatius: - la pace e la restituzione [dei territori] non sono la stessa cosa".

Una differenza di prospettive che è destinata a prolungarsi. Ma, secondo Ignatius, "a un certo punto del prossimo anno, la tensione sotto la superficie che si è registrata in questo vertice di guerra dovrà essere affrontata. Sarà necessaria una maggiore chiarezza per trovare convergenze su cosa si intende per successo ucraino, a meno di una 'vittoria totale' [che non arriverà]. Ma per ora, prendiamo per buona la formula di Zelensky: 'Vittoria, solo vittoria'".

Al di là di tutto, la nota di Ignatius ha il grande merito di parlare di pace, una parola bellissima, fiorita nell'ambito della civiltà umana, che però negli ultimi mesi è stata screditata, per usare un cauto eufemismo. Segno della barbarie del tempo.

Un accordo Russia - Stati Uniti porrà fine alla guerra

Interessante, su una possibile conclusione della guerra, un altro articolo, stavolta di Harlan Ullman, pubblicato anch'esso di recente, cioè poco prima della visita di Zelensky, su The Hill.

Ullman spiega che quattro sono le prospettive del conflitto: una vittoria russa, una vittoria dell'Ucraina, un conflitto congelato in stile guerra di Corea, con scontri prolungati ma senza costrutto, oppure uno stallo più breve che "potrebbe forzare l'avvio di negoziati o un cessate il fuoco costretto dal fatto che nessuna delle due parti può vincere o raggiungere i propri obiettivi, dal momento che i costi per proseguire la guerra sono troppo alti non solo per i Paesi in lotta, ma anche per gli Stati Uniti e la NATO. Oggettivamente, gli ultimi due esiti sono i più probabili".

Fin qui poco di nuovo rispetto ad altre analisi, ma la riportiamo perché converge e in qualche modo dà forma alla prospettiva realistica indicata - molto più vagamente - da Ignatius. Prospettive che contraddicono la retorica trionfalista che promana da quasi tutti i bollettini di guerra pubblicati sui media internazionali.

Ancora più interessante un altro cenno dell'articolo di Ullman: "L'Ucraina e il suo presidente, Volodymyr Zelensky, sembrano aver ricevuto l'autorità per dettare i termini per porre fine alla guerra. Ma a un certo punto gli Stati Uniti agiranno nel proprio interesse e forse come ha fatto l'amministrazione Trump negoziando il ritiro dall'Afghanistan con i talebani e non con il governo afghano". Cioè con Mosca e non con Kiev.

Una prospettiva invero molto realistica, benché brutale nella sua ovvietà.

Quando arriverà il momento, Washington agirà esattamente così, costringendo Kiev ad accettare i termini dell'accordo stipulato con la Russia, dal momento che, senza il sostegno Usa, non avrebbe alcuna possibilità di resistere.

Commenti