Matteo Sacchi
C'è un tranquillo paese della Toscana. Si chiama Montechiasso e sta sospeso e felice tra le colline, incuneato tra Siena e Firenze. È un borgo antico con una frazione, Giomelle, immersa in uno splendido parco naturale. Un posto dove tutto va come deve andare in una regione rossa: welfare e Partito, cooperative e bed and breakfast, residenti ed immigrati. Poi di colpo qualcosa cambia. Gli amministratori del Pd decidono di lasciar costruire una moschea proprio all'interno del parco di Giomelle. Agli abitanti nessuno ha detto nulla, lo hanno letto sui giornali. E quando chiedono spiegazioni in comune incontrano un muro di gomma. Loro dicono: «moschea», il sindaco risponde: «Centro culturale islamico». Loro dicono ci sono tanti posti più adatti, il sindaco risponde: «Cosa vogliamo fare? Creare un ghetto? Gli vuoi mettere anche il filo spinato?». Loro dicono: «Ma proprio nel parco?» e il sindaco risponde: «Io non sono razzista».
Questo è l'inizio del romanzo Le querce non fanno limoni di Cosimo Calamini (Garzanti, pagg. 294, euro 17,60). Un inizio così cronachistico che l'inesistente Montechiasso viene quasi voglia di cercarlo sulla cartina, di controllare se i protagonisti li si trova sulle Pagine bianche. Perché quello che racconta Calamini ha l'odore delle cose di tutti i giorni, l'aspetto dei nostri paesi e delle nostre città che cambiano mentre qualcuno fa finta di niente o si nasconde dietro il politically correct di maniera. E così il libro prosegue, prima lento e poi veloce, come accade alle nostre vite quando vengono travolte dalla cascata degli eventi. Mostra, in una sfera di cristallo, come possono finire le cose quando la politica buonista rovina la convivenza, quella vera, quella che nasce dal tempo.
Gli abitanti di Giomelle si ribellano, capitanati da Attilio Malquori, uno che sta a sinistra da una vita. Nasce una lista locale e il paese si spacca. In una riunione civica c'è un ragazzino che urla: «Ragionate come i leghisti» e un vecchio che gli risponde: «O imbecille, madonna lepre, io ho fatto la Resistenza», poi volano gli spintoni. Intanto un'architetto compito mostra le slide di un edificio che sembra un disco volante con minareto, roba che fa rabbrividire anche l'Imam. Ma non è finita: italiani e immigrati arabi, sempre andati d'accordo, se le danno di santa ragione: «Lurido arabo... Mafioso del cazzo...». Poi succede: qualcuno rapisce il figlio dell'Imam, un ragazzo simpatico che prima della «guerra civile» ha avuto una relazione con la figlia di Malquori (l'ha messa anche in cinta). E la cosa non finisce bene, nonostante tutti facciano il possibile per ritrovarlo. Solo allora qualcuno si ricorda di quel vecchio detto: «Le querce 'un fanno i limoni, nemmeno se le spremi». Ma è troppo tardi e, infondo, per la politica una moschea a forma di astronave (coi suoi appalti) conta più degli italiani, degli arabi, delle querce e dei limoni. Così la frase che chiude il libro «...
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