Gufano contro Silvio, ma poi spariscono loro

RomaIn declino, al tramonto, finito, morto e sepolto. L’ultimo lucido giudizio sul Cavaliere è di poche ore fa, firmato Antonio Di Pietro: «Berlusconi è giunto al capolinea della propria credibilità politica e personale».
Antica tiritera, questa, di annunciare il Cavaliere sull’orlo del baratro, alla frutta, praticamente spacciato. Dal dalemiano sogno di vederlo, parole sue, «sui cartoni a chiedere l’elemosina fuori da una chiesa», al sempre dalemiano e più recente vaticinio della «scossa», il minestrone antiberlusconiano non ne ha mai azzeccata una. Perché a voltarsi indietro e contare le volte che hanno brindato al crepuscolo di Berlusconi c’è da chiedersi come facciano a non essere tutti ricoverati per cirrosi epatica.
Per la lungimirante visione del lìder Massimo, epoca Pds, Berlusconi aveva già tirato le cuoia nel 1994, a sua fresca discesa in campo: «È debole e pericoloso - dichiarò al Manifesto - e il berlusconismo è già in crisi (!)». Appoggiata da intellettuali, magistrati politicizzati, salotti buoni, grande stampa, Repubblica e Corriere della Sera in testa («l’ingresso di Berlusconi in politica rappresenta un grossissimo regalo fatto al cartello delle sinistre. Il quale si troverà a disporre, in questa campagna elettorale, di un perfetto Bau Bau contro cui impostare, con probabile successo, tutta la sua campagna. Come Bau Bau Berlusconi è perfetto», Angelo Panebianco, Corsera, 27 gennaio ’94), la sinistra ha sempre confuso la realtà coi propri sogni. Infranti, spesso, dalle democratiche urne. Come avvenne con la batosta elettorale dell’occhettiana «gioiosa macchina da guerra». Poi venne lo sgambetto leghista, il governo Dini e solo nel ’96 si potè ridare la parola agli italiani. Che scelsero Ulivo più Rifondazione, a riprova del «regime» mediatico instaurato dal Cavaliere nero. Seppure all’opposizione, Berlusconi continuò a essere oggetto di studi equilibrati e lungimiranti da parte della folta schiera di «estimatori». Già all’epoca intasata da misurati analisti oltrefrontiera, tant’è che il per definizione autorevole The Economist così sentenziò: «Berlusconi è in declino come un leader comunista d’Asia» (26 settembre 1997). Mentre il centrosinistra arrancava con i suoi governi eptapartitici (Prodi I, D’Alema I, D’Alema II, Amato III), la maggioranza continuò a cimentarsi sul presunto crepuscolo del nemico: «Il Polo è in crisi perché non ha leadership. Berlusconi è al capolinea» (Antonio Di Pietro, 8 gennaio 1998). Ma a deragliare fu l’ex pm posto che, siamo nel 2001, la Casa delle libertà volò e Berlusconi tornò a Palazzo Chigi. Ma non era spossato, esaurito, spacciato? Certo che sì, per Vannino Chiti: «È in affanno e in declino» (30 dicembre 2002); per Massimo D’Alema: «Berlusconi è al capolinea, la legislatura è già conclusa» (9 settembre 2003); per Clemente Mastella: «Siamo al crepuscolo del berlusconismo» (20 gennaio 2004); per Sergio Cofferati: «Quelli del centrodestra? Sanno di essere al termine di una stagione politica» (30 gennaio 2004); per Enrico Boselli: «Berlusconi fa i conti con l’inesorabile declino della sua coalizione» (27 maggio 2004); per Piero Fassino: «Siamo di fronte alla crisi di Berlusconi e del berlusconismo» (15 giugno 2004); per Paolo Cento: «A Berlusconi sta sprofondando il terreno sotto i piedi» (27 giugno 2004); per Luciano Violante: «Il tramonto del berlusconismo è un fatto concreto» (29 giugno 2004); per il per definizione autorevole Le Monde: «Il berlusconismo è in crisi» (1 luglio 2004); per Giovanni Sartori: «È certo che il berlusconismo è psicologicamente finito» (16 luglio 2004); per Fausto Bertinotti: «L’anno che finisce è stata la fine del berlusconismo» (31 dicembre 2005).
Insomma, un concerto di campane a morto. E seppur contrapposti a quello che, sentir loro, era soltanto uno straccio, un cencio, un cadavere politico, l’Unione vinse le elezioni del 2006 per un pugno di voti (24mila). Fu la notte del grottesco «Abbiamo vintooo!» in piazza Santi Apostoli a Roma del funereo e bofonchiante Prodi. Durò poco, pochissimo: un anno e 11 mesi. E più che il berlusconismo al capolinea ci arrivò il prodismo, impallinato da Mastella, Dini e schegge di sinistra radicale. Parlamento a casa, altre elezioni e solita litania sinistrorsa: «Berlusconi? Fenomeno calante» (Massimo D’Alema, 7 marzo 2008); «A 71 anni la sua energia da personaggio dei fumetti è in declino» (il per definizione autorevole New York Times, 12 aprile 2008).
Ancora una volta gli italiani decretarono la «fine» del Cavaliere nelle urne: 47,3% dei voti al Senato, 46,8% alla Camera. Un trionfo.

Tale da ricacciare in gola le sbilenche letture delle tante cassandre anti Silvio? Macché. «Berlusconi c’è, ma il berlusconismo è finito», insiste Walter Veltroni (18 luglio 2008); «Il ciclo di Berlusconi sta finendo», annuisce convinto Dario Franceschini (5 aprile 2009). Utilizzatori finali di corbellerie.

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