Potere è mentire e mentire è potere.
La frase, illuminante, è tratta da un libro di Guido Rossi (Il ratto delle sabine) e ben definisce quello che si nasconde dietro l’attacco alla Moratti e alle lobby di Milano sferrato dal giurista ieri sulle pagine di Repubblica. Si tratta di null’altro che dell’elogio di un modo di essere che fa dell’ipocrisia una legge e che è la firma di quel vasto partito della sinistra radical chic, di quella gauche-caviar di cui Rossi e il candidato sindaco Giuliano Pisapia sono perfetti esponenti. Un partito per cui vengono richieste due caratteristiche valoriali imprescindibili: un conto in banca invidiabile ed una faccia tosta superiore al saldo attivo del conto medesimo. Nel caso del Professor Rossi ambedue i valori sono ai massimi livelli.
Per un uomo della sua storia, dichiararsi contro le lobbies è come per una zanzara lamentarsi del fatto che gli insetti danno fastidio: può anche essere vero, ma solo se riferito a se stesso, non di certo parlando degli interessi delle persone. A una zanzara le altre zanzare scocciano, rappresentano dei concorrenti, il sangue sarebbe cosa giusta se fosse tutto suo, possibilmente offerto spontaneamente in capaci bicchieri, ovviamente per il loro bene. Guido Rossi in effetti non ha mai avuto bisogno delle lobbies essendo egli stesso una gigantesca e potentissima lobby. In Borsa anche i sassi sapevano che se per una società le cose stavano mettendosi male i telefoni da chiamare erano solo due: quello di Enrico Cuccia e quello di Guido Rossi. Il primo serviva per uscire dai pasticci legati alla mancanza di denaro, il secondo per uscire da tutti gli altri guai. I due infatti non si sopportavano. Fatto sta che nel comune sentire degli operatori di Piazza Affari il nome di Rossi era sinonimo di salvacondotto, un po’ come la carta del Monopoli «uscite gratis di prigione», con la differenza che il professore non era affatto gratis.
La sua firma si ritrova in tutte le operazioni che contano da trent’anni a questa parte: da Telecom agli swap della Fiat, vere e proprie acrobazie giuridiche che, con lo stesso metro riservato ad altri sarebbero state oggetto di scandalo, diventavano (anche e soprattutto per le autorità di controllo e per i tribunali) regolari e perfette. La spocchia di Rossi nel bacchettare tutto e tutti a volte lo spingeva a rimbeccare persino altri suoi simili, come ad esempio il banchiere rosso Nerio Nesi, uno dei fidati uomini di Bertinotti nella grande finanza. Nesi nel 1996 venne tacciato di «fare gli interessi dei boiardi di Stato» e replicò con una (per una volta sincera) intervista su Repubblica dove affermò: «Conosco Rossi da una vita. Esattamente dal ’70. Entrammo insieme nel consiglio di amministrazione della Banca popolare di Milano, quando la banca era dei sindacati. Designati dalla Cgil, Nesi e Rossi. Il rapporto è poi andato avanti, lo feci anche nominare consulente della Banca nazionale del lavoro. Non ho mai negato di essere stato per trent’anni nel Psi, come lombardiano, coerente dall’inizio alla fine. Ma è meglio essere legato ai partiti che alle lobby». Tutto vero, tranne un particolare: anche nel ’96 era improprio definire Rossi come «legato alle lobby», essendo lui come abbiamo detto una lobby in sé.
La cosa indigesta di questi soloni del capitalismo rifondarolo è proprio legata a questo conflitto irrisolvibile fra i loro status di intoccabili e la finta bandiera della difesa della povera gente che sventolano quando devono sottoporsi a quel fastidiosissimo rito delle elezioni che, se fosse per loro, abolirebbero domani con un tratto di stilografica Montblanc, per sostituirle con una sana divisione del potere con il criterio di un po’ a me e un po’ ancora a me. Il fatto è che questa antidemocrazia latente si basa su di una sincera convinzione di essere nel giusto, stante la probabile stupidità del corpo elettorale che niente può capire di come va il mondo. Giuliano Pisapia, come Guido Rossi rappresenta proprio questo mondo, fatto da gente che può tranquillamente permettersi di presentarsi come difensore degli abusivi, degli immigrati, dei disperati, perché tanto sanno che questi abusivi non li incontreranno mai, tranquillamente difesi dalle loro vaste ricchezze e dagli amici «attivisti» sparsi nei punti di potere.
Di certo anche Letizia Moratti non è una plebea, viene esattamente da quello stesso milieu economico del grande capitale milanese, ma almeno ha scelto la strada difficile di non nascondere quello che è.
posta@claudioborghi.com
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.