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Gurrado, quel «reality» è talmente reale che ci scappa il morto

In «Nomination» la rivolta dei concorrenti incrementa gli ascolti. E la suspense

Reality. È la parola magica della televisione del Ventunesimo secolo. Portare qualcosa che abbia la parvenza del vero negli show televisivi, qualcosa che faccia sentire lo spettatore coinvolto e partecipe, che gli dia la possibilità di votare contro o a favore di qualcuno, assecondando i suoi umori e il viscerale desiderio di contare qualcosa. Che gli consenta di guardare dei concorrenti che fanno sesso triste sotto l’occhio infrarosso di telecamere guardone, oppure che piangono calde lacrime da nomination.
Una specie di spettacolo gladiatorio, il panem et circenses su schermo al plasma che per durare, e garantire lo share, ha bisogno di premere costantemente sul pedale dell’acceleratore. Se una volta bastava Il Grande Fratello, con i suoi innocui concorrenti, selezionati proprio per la loro «domesticità», ormai la corsa al voyeurismo porta da tutt’altra parte. Si possono richiudere star di serie B su un’isola e affamarle, giusto per scoprire che la gente senza cibo diventa cattiva. Si possono fare entrare terrorizzate signorine nella gabbia della tigre o piazzarle sotto i bisturi. Anche così, però, si tratta solo di versioni nostrane edulcorate.
Negli Stati Uniti esistono ormai plurime stagioni di Fear Factor, lo show truculento dove per vincere ci si fa rinchiudere in sacchi pieni di insetti ripugnanti. Qualcosa di appena appena adrenalinico, se confrontato con serie dove ci si fa massacrare nel tentativo di diventare pugili, o lottatori professionisti. Capita così che, senza moralismi e con un occhio al futuribile, qualcuno si chieda qual è il limite.
Una risposta, piuttosto spaventevole, la dà Lello Gurrado con il suo romanzo Nomination (Fanucci, pagg. 215, euro 14). Gurrado, giornalista di lungo corso, s’immagina, in una California avanti a noi di solo qualche anno, che un grande network televisivo si inventi il reality dei reality: quello che finisce con una bella esecuzione ogni sabato sera. Per metterlo in pratica servono 8 condannati a morte che il loro avvocato compiacente consegna a una giuria mediatica. Le regole sono semplicissime: chi viene scelto dagli spettatori va sulla sedia elettrica in diretta, gli altri passano il turno. L’ultimo che sopravvive non viene graziato, la legge è legge, semplicemente tira avanti sino alla serie successiva.
Ovviamente, davanti a tanto pathos scritto nel sangue, il pubblico va in deliquio: vota, si commuove, rivota, si gode le scariche di corrente. Non fosse che le vittime sacrificali ad un certo punto non ci stanno più. Si rivoltano, costringono a partecipare al gioco il loro avvocato affarista, il regista, il presentatore e un bel pezzo del loro staff. Non prima però di avergli fatto confessare in diretta le cose orribili che hanno fatto per far carriera. Come reagisce il popolo del telecomando e il governo degli Stati Uniti? Non si può dire, pena rovinare la suspense.

Nel noir mediatico di Gurrado, però, più che la trama, un avvincente mix tra Dieci piccoli indiani di Agatha Christie e L’uomo in fuga di Stephen King, a catturare il lettore è la prosa asciutta e la capacità di raccontare il filo sottile, e crudele, che lega lo spettatore allo schermo, la sua voglia di vedere dolore senza pagarne il prezzo.
Così, dopo aver letto Nomination potreste aver meno voglia di mandare il vostro sms per decidere chi resta nell’occhio della telecamera e chi se ne va.

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