Due fratelli, un ingegnere mancato e un farmacista deluso, nati in Terronia ed emigrati in Polentonia, sono riusciti là dove prima l’Eiar e poi la Rai, vale a dire lo Stato, hanno regolarmente fallito negli ultimi 80 anni: il conseguimento dell’unità d’Italia. E ci sono riusciti nel giro di appena un ventennio, partendo da un capitale di 2 milioni e mezzo di lire e utilizzando soltanto la modulazione di frequenza radiofonica.
Per capire il miracolo compiuto da Lorenzo e Virgilio Suraci, calabresi di Vibo Valentia trapiantati a Bergamo, bisogna considerare questo: nelle 20 regioni della penisola, la Rai spazia in Fm dagli 87.7 di Radiouno a Trieste ai 103.9 di Radiodue a Siracusa. Mi sono intignato a contarle: in totale 463 frequenze. I gemelli siamesi dell’etere, invece, si fanno trovare sempre nello stesso posto. In pratica sono gli unici che non infliggono agli automobilisti il supplizio di dover risintonizzare in continuazione l’apparecchio ricevente. Ecco spiegato il successo di Rtl 102.5, dove il numero indica ovviamente la frequenza captabile dall’Alto Adige alla Sicilia. Oggi è diventata l’emittente commerciale più ascoltata nel nostro Paese e la seconda in assoluto con i suoi 5.391.000 ascoltatori giornalieri, in crescita del 4%, alle spalle di Radiouno, con 5.994.000, in calo dell’1,1% (fonte: Audiradio), tanto da arrivare a competere con viale Mazzini persino per i diritti sulle partite del campionato di calcio. Con la soddisfazione aggiuntiva d’aver relegato in quarta posizione Radio Deejay, il network del gruppo editoriale L’Espresso che da anni guidava incontrastato la classifica delle private.
Uomo dal record facile, Lorenzo Suraci, 58 anni, l’ingegnere mancato, tifoso dell’Atalanta, che ha coinvolto il farmacista deluso, 48, «sempre meglio che lasciarlo a fare il venditore di aspirine», nella gestione di Rtl 102.5, affidandogli la concessionaria di pubblicità. Primo a dotare una radio privata di una redazione giornalistica, formata da 20 professionisti tra le sedi di Milano e Roma e da una rete di un centinaio di corrispondenti in tutto il mondo, che confeziona 24 edizioni del notiziario, una allo scoccare di ogni ora. Primo a far diventare Rtl 102.5 la radio ufficiale di Milan, Inter, Juve, Parma e Reggina, del Giro d’Italia, dei Mondiali di ciclismo e di sci. Primo a trasmettere in diretta concerti-evento, come quello degli U2 fra le macerie ancora fumanti di Sarajevo. Primo ad assicurarsi le partite della nazionale italiana agli Europei di calcio 2004 e 2008. Primo a creare la radiovisione, cioè «la radio che si guarda», con l’intero palinsesto che va in diretta 24 ore su 24 sul canale 750 di Sky e ti mostra i conduttori che parlano, i giornalisti che leggono e i videoclip quando sono in onda le canzoni. E, soprattutto, primo a credere nelle qualità di Laura Pausini, di Gianluca Grignani, di Giusi Ferreri, la cassiera dell’Esselunga buttata fuori da X Factor e ripescata il giorno dopo da Rtl 102.5 col tormentone Non ti scordar mai di me, e di Dj Francesco, figlio di Roby Facchinetti, tastierista dei Pooh, e fratello di Valentina, che di Suraci è l’addetta stampa, tenuto a battesimo agli esordi, appena diciottenne.
In chi altro ha creduto?
«In Noemi».
Quella Noemi?
«Nooo! Nome d’arte di Veronica Scopelliti, una cantante cacciata anche lei da X Factor. E poi ho creduto in Alessandra Amoroso, vincitrice dell’ottava edizione del talent show Amici di Maria De Filippi. Rtl 102.5 l’ha spinta a più non posso e ora sta su Raiuno con Gianni Morandi in Grazie a tutti».
Nessun altro?
«Gli Zero assoluto. Li ho creati come prodotto discografico. Purtroppo dopo qualche anno, senza alcun motivo, hanno preferito andare per la loro strada. L’unica grande delusione della mia vita».
Che cosa si aspettava? Zero assoluto, nomen omen.
«Provo ribrezzo. Né io né la radio c’eravamo mai spesi così tanto. Due Sanremo e tre Festivalbar, gli abbiamo fatto fare. È stato un grande investimento emotivo ed economico. Hanno buttato via tutto. Siamo in causa».
Da chi ha ereditato la sensibilità artistica?
«Da mio zio Francesco Capuccio. Era un dirigente dell’Inps, signorino. Insomma, single. Nel tempo libero faceva l’agente teatrale: collocava cantanti e orchestre nei locali. Mio padre s’era messo in testa che dovevo diventare ingegnere, mentre io avrei voluto fare il geometra. Perciò m’impose il liceo scientifico e poi trasferì la famiglia dalla Calabria nel Bergamasco, dove vivevano i nonni materni, per mandarmi al Politecnico di Milano. All’università resistetti solo otto mesi».
Come mai?
«Non ci capivo niente. Di questo devo ringraziare due terroristi, Paolo Ceriani Sebregondi e Alberto Franceschini, uno dei fondatori delle Brigate rosse, che vennero giù in Calabria a istruire le masse, per cui al liceo facevamo un giorno di lezione e dieci di sciopero. Quando dissi a mio padre che non ero in grado di studiare da ingegnere, mi cacciò di casa».
E dove andò a dormire?
«Dallo zio signorino. Cominciai ad aiutarlo nel suo secondo lavoro. Finché non incontrai un vecchio compagno di scuola, l’architetto Giancarlo Tebaldi. Insieme ad altri soci, rilevammo il cinema Columbus di Arcene, che era sempre vuoto, e lo trasformammo nella discoteca Il Capriccio, la prima operazione del genere in Italia, sull’esempio di Le Palais a Parigi. La pubblicizzavo sull’Eco di Bergamo».
Un po’ ingenuo: è il giornale della curia.
«E infatti nel 1986 decisi di comprarmi Rtl 102.5, una radio cittadina. Rtl sta per Radio trasmissioni lombarde. Da Bergamo alta trasferii gli studi ad Arcene per farne il megafono della discoteca. E guardi un po’ lei che cos’è diventata...».
Già, 250 collaboratori contrattualizzati e 55 milioni di fatturato annuo.
«Il fatturato magari è meglio non dirlo».
Visto che è calabrese, la accuseranno d’essere appoggiato dalla ’ndrangheta.
«Sul mio conto ne sono circolate di cotte e di crude. Questa, graziaddio, ancora no. Mi sono sempre tenuto alla larga da malavitosi, papponi e spacciatori di droga. In discoteca ho visto circolare i primi spinelli, ma non ne ho mai provato uno, memore delle cinghiate che mio padre, nonostante fumasse tre pacchetti di Nazionali al giorno, mi rifilò a 13 anni quando s’accorse che mi facevo le sigarette col tabacco delle sue cicche».
Come ha fatto a procurarsi un’unica frequenza in ogni regione d’Italia?
«Sono andato per 20 anni a comprarmela provincia per provincia. Ha idea di che cosa significhi concludere 200 trattative con 200 interlocutori diversi? È stato massacrante».
Possibile che la Rai, con tutti i dirigenti di cui dispone, non ci abbia pensato?
«Loro vengono dal monopolio. Per anni sono stati gli unici ad accendere impianti radio, quindi se ne fregavano del piano di Ginevra per la ripartizione delle frequenze. Mi davano del pazzo. Io galoppavo ogni settimana da Milano a Palermo, loro stavano seduti negli uffici a far teoria».
Però la Rai è riuscita a scipparle i diritti sulle partite di campionato.
«Non m’è parsa una bella vicenda. Siamo stati gli unici a fare un’offerta alla Lega calcio, sia pure di poche migliaia di euro. La Rai non ha presentato nessuna busta. A questo punto la Lega avrebbe dovuto intavolare una trattativa privata con noi. Invece ha rifatto l’asta e stavolta la Rai ha offerto 3,2 milioni contro il nostro milione di euro».
Chi gliel’ha fatto fare di mettersi i giornalisti in casa, con i guai che combinano?
«La legge Mammì, che ha imposto alle emittenti radiotelevisive di dedicare uno spazio all’informazione. Siamo stati i primi, in anticipo persino su Canale 5, a varare i notiziari».
E ha subito assunto il figlio di Bruno Vespa.
«Veramente Federico Vespa è qui solo da un paio d’anni. Ogni venerdì, dalle 8 alle 9, all’interno di Non stop news, conduce Raccontami, un confronto generazionale e culturale col padre Bruno. Si scontrano un po’ su tutto: politica, attualità, costume. E musica, naturalmente».
Il titolo è copiato dalla fiction di Raiuno con Massimo Ghini.
«Raccontami? Mai saputo di questa fiction. Avranno copiato gli altri da noi. Non sarebbe la prima volta. Emilio Fede ha chiamato Password un programma che trasmettiamo da 15 anni con lo stesso titolo».
Chissà quanto le costa Vespa padre.
«Il giusto per una radio. Purtroppo nell’ora in cui va in onda dobbiamo sospendere la diretta sul canale satellitare per una questione di diritti sull’immagine del telegiornalista».
Qual è il mix per fare una buona radio?
«Un 60% di musica, un 20% d’informazione e un 20% d’intrattenimento».
La politica che peso deve avere?
«Zero. Non bisogna prendere le parti di nessuno. Noi siamo filogovernativi a seconda del governo che c’è in carica».
Paraculi, insomma.
«Abbastanza».
Che differenza c’è tra la radio e la Tv?
«La nostra radio va in diretta 24 ore su 24, senza trucco e parrucco, cotta e mangiata. Se ci scappa uno sternuto, lo sentono in tutta Europa. In Tv è tutto finto, postprodotto, artefatto. L’11 settembre 2001 la nostra disc jockey Jennifer Pressman era al telefono con la madre Carol Landsman che abita nei paraggi delle Torri gemelle. La signora stava per andare dalla parrucchiera. Invece s’è improvvisata cronista per noi in una diretta-fiume con la figlia».
Ha dato lavoro ad Anna Falchi, Ambra Angiolini, Rosita Celentano...
«...da quest’anno anche ad Amadeus».
E a Rita Rusic. Ma aveva bisogno di lavorare, l’ex signora Cecchi Gori?
«Le mancava l’esperienza della radio».
E a Franco Califano.
«Il suo Calisutra, revisione critica del Kamasutra, è nato su Rtl 102.5. Ma con garbo, senza sbracare. E dopo la mezzanotte».
E ad Ana Laura Ribas. Sua moglie non è gelosa?
«Mai stata gelosa. Neanche di Vanessa Incontrada, che ha lavorato qui prima d’essere scoperta come attrice da Pupi Avati».
Meglio vederle che sentirle parlare.
«Non conosco belle conduttrici con una brutta voce. E viceversa».
Se ripensa alle voci radiofoniche della sua adolescenza, chi le viene in mente?
«Corrado che conduce La Corrida. In casa lo ascoltavamo con una radio Phonola».
Una voce che vorrebbe a Rtl 102.5.
«Quella di Albertino, oggi a Radio Deejay».
Sentita dal sottoscritto una domenica alle 21.20, su Rtl 102.5. Dialogo fra due conduttrici: «Mi trovi grassa?». «Ma no, sei una sifilide!». Le famose malattie sessualmente trasmesse.
«Credo si trattasse di Charlie’s Angels, un programma sperimentale con Sara Ventura, sorella di Simona, e altre due. Talmente sperimentale che l’ho chiuso. Non so chi delle tre scambiasse la silfide per la sifilide».
Come vive la responsabilità di avere ogni giorno 5 milioni d’ascoltatori?
«Con l’orecchio teso, anche di notte. Mi sveglio per andare in bagno, metto l’auricolare e comincio a seguire il nostro Alberto Bisi, che da vent’anni è l’animatore del programma Crazy club. L’ha mai ascoltato?».
No, a quell’ora dormo.
«Peccato, non sa che cosa si perde. È un’irresistibile galleria di abitanti della notte: insonni, autotrasportatori, poliziotti, carabinieri, guardie giurate, tassisti, medici, infermieri, turnisti. Dovrebbe sentire il fornaio di Soveria Mannelli che telefona dalla Sila mentre sta impastando il pane».
Qui di fronte ai vostri studi di Cologno Monzese c’è la sede Mediaset. Siete una società satellite di Silvio Berlusconi?
«È una voce che gira. Magari fosse vera».
R101 è della Mondadori. Possibile che Sua Emittenza non si sia dotato di un’unica frequenza come ha fatto lei?
«Sono partiti dopo di noi. Oggi è impossibile».
A meno che non la compri da Suraci.
«Non è in vendita».
Tutto è in vendita.
«Non è vero».
Mezzo mondo è da vendere e mezzo da comprare.
«Vabbè, se proprio vuole saperlo, me l’hanno già chiesto. Sono spariti quando gli ho detto che Rtl 102.5 a mio avviso vale quanto Tv Sorrisi e Canzoni».
Letta su un blog: «Linus dice di Lorenzo Suraci che ha la coda di paglia, che è un padre padrone e un frustrato, che è “quello-che-vorrebbe-essere-tanto-cagato-ma-nessuno-se-lo-fila”, che manda messaggini da quattordicenne».
«Roba di due anni fa. Ho avuto un diverbio con Linus sui dati di ascolto. Radio Deejay allora era la numero 1. Non si capacitava d’essere stato sorpassato da una radio “chiassosa”. Io l’ho presa malino. Ora i nostri rapporti sono di nuovo buoni».
Il re assoluto della radio di tutti i tempi.
«Claudio Cecchetto. Peccato che si sia buttato su Internet. Una perdita irreparabile per l’etere».
«Very normal people» è il vostro slogan. Ma ce n’è ancora in giro di gente normale?
«Sì, ce n’è tanta.
(475. Continua)
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