Politica

«Ha ucciso mio papà. Ora vive da eroe»

Due settimane fa Adriano Sabbadin ha scritto una lettera aperta al governo brasiliano: «Trent’anni fa Cesare Battisti uccise mio padre. Non voglio vendetta, ma da allora aspetto giustizia e non l’ho avuta. Cesare Battisti è stato condannato a 4 ergastoli per 4 omicidi, e ha fatto solo un anno di carcere, mentre la mia vita è stata stravolta per sempre. E quel vuoto, anziché diminuire, col passare degli anni cresce sempre».
Nessuno gli ha risposto.
Macelleria Sabbadin, sulla strada di Caltana a Santa Maria di Sala, 16mila anime 20 chilometri a ovest di Mestre. Sono le 4 e mezza di pomeriggio del 16 febbraio 1979. Adriano ha compiuto da poco 17 anni. È al telefono nel retrobottega quando sente gridare. «Chi è Lino Sabbadin?». Il tempo di un cenno con la testa, la raffica di spari. «Mi misi a correre, entrai e vidi un uomo a cavalcioni su mio padre: gli diede il colpo di grazia come fosse una cosa normale, un gesto quotidiano». Gli assassini scappano in macchina. Nella memoria del ragazzo si stampa un’altra immagine. «La mamma prende papà tra le sue braccia, lo culla come fosse un bambino addormentato. Ma per terra, sulle mani, sul grembiule, è tutto rosso». Raccontare è difficile, «ma io questa scena la rivivo ancora ogni giorno. E ogni giorno la vedo più chiara, più vicina».
Ai parenti di una persona assassinata si chiede sempre la stessa cosa: potrà mai perdonare?
«Papà è stato ammazzato a sangue freddo, lo avevano scelto come obiettivo solo perché due mesi prima aveva sparato per difendersi durante una rapina. Poco dopo il funerale, il mio padre spirituale mi disse questo: un uomo che non sa perdonare non è un uomo. All’inizio non volevo nemmeno pensarci, col passare degli anni mi sono convinto che quel parroco aveva ragione. Ma penso anche che per un essere umano è impossibile perdonare, se non c’è giustizia».
Le avranno detto mille volte anche che nessun castigo le farà riavere sua padre.
«È un’altra cosa a cui penso spesso. Vede, io non cerco vendetta. Ma il fatto che un criminale comune che ha ucciso quattro persone possa passare la sua vita all’estero, come un eroe perseguitato, umilia non solo i familiari delle vittime, offende tutta la società. Mia figlia ha due anni, un giorno le racconterò chi era sua nonno. Ecco, vorrei soltanto poterle dire che in questo mondo pieno di divisioni esiste un valore comune, il senso della giustizia. Che gli Stati almeno su una cosa sono d’accordo: chi rovina per sempre quattro famiglie deve rispondere del male che ha fatto».
Centinaia di persone, soprattutto politici, scrittori e intellettuali, sono intervenuti per difendere Battisti. Carla Bruni è andata in tv per dire che lei non c’entra, ma è stata smentita.
«Non ho voluto vedere quel programma, non l’ho fatto vedere a mia madre. Penso che non meritassimo questo dolore in più. Posso solo dire che trovo vergognoso, volgare, umiliante che la televisione pubblica ospiti questa bella signora, ricca e famosa e che ha evidenti responsabilità per quanto è accaduto. Invece che andare da Fazio, la signora Bruni dovrebbe venire qui, nella macelleria dove è stato ucciso mio padre, a parlare con me e i miei familiari. Lei e gli altri intellettuali smemorati che hanno lanciato la moda di difendere questo assassino».
Immagino che avrebbe voglia di insultarli, magari di prenderli a calci.
«Vorrei soltanto raccontare loro chi è Cesare Battisti».
Chi è Cesare Battisti?
«È l’uomo che ha ucciso mio papà. Punto. La politica non c’entra nulla con questa storia. E nemmeno l’ideologia. Nemmeno i romanzi».
E al governo brasiliano cosa vorrebbe dire?
«Quello che ho scritto nel mio appello: prendetevi un po’ di tempo in più, studiatevi le carte del processo, pensate bene a quello che state facendo. In ballo non c’è solo il rispetto di noi vittime, ma un mondo che domani potrebbe essere un po’ più giusto. O terribilmente più sbagliato».
Secondo lei la nazionale di calcio deve giocare o no l’amichevole del primo febbraio contro il Brasile?
«Non lo so, non mi intendo di politica e di diplomazia.

Posso solo dire che lo Stato italiano ci è sempre stato vicino».

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