Melbourne - «La Ferrari ha aperto un capitolo nuovo», ha detto monsieur Jean Todt nel dopo Gran premio d’Australia, quando il vecchio Schumi aveva ormai telefonato al giovane Kimi Raikkonen, quando i vecchi Coulthard, Barrichello e Ralf Schumacher avevano ormai fatto la loro brava figuraccia. Perché non si deve correre in F1 pensando solo a scaldar posti, nel senso di abitacoli. Tanto più se, alla porta, premono molti piccoli fenomeni. Ma i milioni di euro fanno gola e anche se, buttiamo lì un esempio, lo scozzese della Red Bull è progressivamente passato dai 10 milioni che prendeva in McLaren al milione e rotti di oggi, sempre soldoni sono: perché rinunciarvi? In fondo, basta portare a termine la propria garetta, tanto la vittoria è un miraggio, lo stipendio no.
Meno male, però, che il nuovo capitolo di cui parla l’amministratore delegato della Ferrari racconta, sì, di Raikkonen e Massa, ma nelle note a piè di pagina sta scritto in grassetto: occhio a Kubica, 22 anni, occhio, soprattutto, a Hamilton. Perché il giorno dopo la conferma del gelido Kimi al volante della calda Rossa, la maggior parte dei giornali - non quelli italiani giustamente attenti alla nazionale dei motori - esaltavano il bravissimo belloccio d’ebano. Sull’australiano “The Age”, titolo per la Ferrari vittoriosa ma foto immensa per il Tiger Woods motoristico; su “The Australian” il titolo faceva più o meno così: «La F1 è andata, Hamilton invece resta»; mentre l’“Herald Sun”, che fra i canguri ci capisce un poco di più, titolava: «Welcome to the future», benvenuti nel futuro.
Vero. Perché la zampata del 22enne Hamilton alle spalle dei consacrati, benché ancor giovani, Raikkonen e Alonso ha lasciato il paddock a bocca aperta. Todt, dopo un primo, doveroso, accenno all’impresa dei suoi ragazzi, non ha potuto fare a meno di dire: «Abbiamo visto squadre forti, soprattutto abbiamo piloti forti nel giorno del loro debutto: vedi Hamilton arrivato persino sul podio».
Meno attento alla forma, Flavio Briatore: «Lewis? Che gara ha fatto? Da urlo l’ha fatta». E, forse, proprio per questo ha speso il resto del suo tempo a urlare in faccia al povero debuttante Heikki Kovalainen, reo «di aver sbagliato tutto, lui che è forte come Hamilton». E poi Lauda, «mai vista una cosa del genere», e poi Stirling Moss, «mi chiedete di Raikkonen, Massa e Alonso, ma io questo ragazzo lo seguo da tempo, farà cose incredibili». Giudizio dato il giorno prima e pienamente in sintonia con sir Jackie Stewart: «Lewis non si discute: veloce, sveglio, intelligente».
Fatto sta, qualcosa è finalmente cambiato: la F1 ha sdoganato i giovani. Sembra ieri che Alonso faceva apprendistato alla Minardi, ma già talento era; e sembra una vita fa l’“apriti cielo” intonato nell’autunno del 2000, quando a un 21enne sconosciuto, taciturno e indecifrabile fu quasi messo in piedi un processo. Aveva chiesto la patente per correre in F1 nonostante avesse alle spalle poche gare nelle formule minori. Il suo talento strabiliava gli esperti e preoccupava certi piloti. In cuor loro temevano la sua velocità, ma la battaglia fu all’insegna del «temiano la sua scarsa esperienza... Sarà pericoloso». Fra i più accaniti, proprio Coulthard, il vecchio gentleman scozzese che, a Melbourne, è zompato sopra la Williams del povero Wurz. Michael Schumacher, invece, appoggiò subito la causa di quel giovane sconosciuto e taciturno.
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