Helenio Herrera: Mago doc I suoi eredi? Solo imitazioni

Cento anni fa nasceva l'allenatore che rese grande l'Inter di Angelo Moratti, negli anni Sessanta. Un personaggio che cambiò la vita degli allenatori in panchina e in Tv. E ispirò la categoria: dal totalitarismo di Sacchi all’ironia di Boskov. Così lo raccontava Gianni Brera

Helenio Herrera: Mago doc  
I suoi eredi? Solo imitazioni

Un professore di liceo si sdegnò sentendo dire ad un suo allievo: Giovanni XXIII, Kennedy ed Helenio Herrera sono i tre uomini più rappresentativi del nostro tempo. Era uno studente degli anni Sessanta. Difficile pensare che un liceale dei nostri tempi infili, in una triade, Mourinho, Capello, Sacchi, Trapattoni o Ferguson. Ma quello era Herrera, HH, il mago, l’uomo della rivoluzione. Che non si vergognava di dire: «Sono il migliore». Pensava notte e giorno al calcio, agli allenamenti, alla tattica, alle tecniche, a sbranare chiunque avesse fama di grande personaggio. Davanti a tutti doveva stare solo lui. Gianni Brera lo definì un centauro pedagogo di calciatori. E sintetizzò il suo metodo in logica e applicazione, criterio analitico e fiducia in se stesso.

Ci siamo ritrovati Helenio Herrera, su madre terra, esattamente cento anni fa ad oggi. Nato a Buenos Aires, cresciuto in Marocco da quando aveva quattro anni, tanto da essere perfetto padrone della lingua francese, il tipo preferiva raccontare di essere nato nel 1916. Narcisismo e autostima erano debolezza e forza. Cosa lo appagava? Far sapere, per esempio, di avere una dentatura senza carie. Il ghigno del conquistatore lasciava spazio al sorriso della felicità. Era intelligenza allo stato puro (copyright della signora Flora Gandolfi, che poi è la moglie). Sentiva nostalgia e angoscia al tintinnare della pioggia fuor della finestra. Gli ricordava le sue paure da ragazzino: quando dormiva sotto una tettoia di ferro, che la pioggia faceva tremare.

Herrera ha coniato una nuova formula di allenatore. Introdusse novità che fecero epoca nella tecnica, nella tattica, nella preparazione atletica, ma pure nell’immagine, si lasciò carezzare dal gossip, ci venne a “disturbare” in casa, facendo il giudice nel tribunale televisivo organizzato da Maurizio Mosca. Era tutto ed anche di più. Grazie a lui ha preso importanza il ruolo dell’allenatore. E con esso sono lievitati anche i guadagni. Vinse coppe e scudetti, in Italia e in Spagna. Oggi tanti vedono in Mourinho il naturale prosecutore dell’era di HH. Ma Mou è buon ultimo e per ora forse neppure il più originale.

Che dire, infatti, di Arrigo Sacchi? Il suo totalitarismo di pensiero calcistico ricama un ampliamento dell’idea atletico-pedatoria herreriana. Fabio Capello è temuto (talvolta odiato) dai calciatori, come capitava ad Herrera. E se il mago raccontò di aver dato un contributo alla coscienza professionale dei nostri giocatori, Capello sta inseguendo la stessa via in Inghilterra. «Quando sono arrivato all’Inter c’era chi svegliava Moratti alle tre di notte per dirgli: il tal giocatore è qui, un altro è là. Ed allora decidemmo di metterli tutti sotto chiave dal giovedì alla domenica sera compresa. Poi non servì più», raccontò Helenio. Don Fabio ha usato sistemi simili con gli allegroni inglesi e le wags.

Nils Liedholm non ha mai smesso di maltrattare sintassi italiana e consecutio temporum, nonostante abbia messo radici in Piemonte. Herrera lo fece per vezzo e convinzione: per creare un genere e un personaggio. Il barone per snobismo intelligente, anch’egli calandosi nel personaggio. Giovanni Trapattoni è stato un uomo per tutte le nazioni e tutte le situazioni, una vita “full immersion” nel parlare di pallone giorno, notte, a pranzo e cena. Il mago ti stordiva slalomeggiando tra diete, preparazione e mestiere. Non lo distraeva neppure la Gioconda. Trap era effervescente, il mago esuberante. HH ha dato la sensazione di essere allenatore difensivista, pur schierando più punte di quante se ne usino oggi. Giocava verticale. E Trap non smette mai di aprire il Panini per mostrare le sue formazioni, piene di punte e mezze punte, ed investire di rabbia chi lo chiama catenacciaro.

Marcello Lippi non sopporta personalità che gli tolgano luce. Mourinho cerca sempre un nemico pubblico, si tratti pure di un suo giocatore. Herrera è stato maestro della specie. Antonio Valentin Angelillo ne sa qualcosa. Herrera aveva il senso dell’essenziale, andava al cuore del problema: comodo o scomodo che fosse. Era gran chiacchierone, talvolta rischiava di finire nella ciarlataneria ma trovava la chiave giusta. Magari con i cartelli appesi al muro dello spogliatoio.

Affogata nell’ironia, abbiamo ritrovato la stessa straordinaria capacità in Vujadin Boskov. «Rigore è, se arbitro fischia». «Mancini è un allenatore nato». «Chi ha sbagliato? Pagliuca».

Scusi Helenio, lei presidente federale chi assume come ct della nazionale fra Herrera, Valcareggi, Fabbri, Invernizzi e Rocco? «Io, perchè sono il migliore».
Chiaro? Adesso capirete perchè, cent’anni fa, madre natura non ha avuto una cattiva idea.

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