È davvero una bella storia, quasi una fiaba, quella raccontata da Raffaele Nigro in Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway (Rizzoli, pagg. 167, euro 16). Cacciati dal premio Chiara, di cui erano giurati, Nigro e la Pivano si ritrovarono una notte in un tassì, quasi in fuga, diretti a Roma. Durante il viaggio la più dinamica allieva di Cesare Pavese, la traduttrice di Hemingway e Fitzgerald rivelò a Nigro che a metà degli anni 50 lautore di Fiesta e dei Quarantanove racconti batté i boschi della Basilicata e della Calabria a caccia di mammut.
Una storia inverosimile, dunque, una balla? Fino a un certo punto. Nel dopoguerra lItalia era un Paese prostrato che conservava vaste sacche giurassiche, impermeabili alla modernità. Briganti, fattucchiere, tarantolati... Non furono pochi gli stranieri in cerca di emozioni forti che la visitarono; come la giornalista svedese che, invaghitasi del bandito Salvatore Giuliano, andò a cercarlo in Sicilia. La notizia che a Sud del Volturno vi fossero «tante diavolerie che hanno dellincredibile» raggiunse anche Hemingway, allora già profondamente depresso e sullorlo del suicidio, il quale avrebbe pregato la sua amica e traduttrice di prendere informazioni. E chi, più di Ernesto De Martino, avrebbe potuto procurargliene? De Martino, luomo che con i suoi viaggi etnografici aveva acceso un abbacinante riflettore sulle nostre indie domestiche. Incontrato nel suo studio allUniversità di Roma e al caffè Greco, il leggendario antropologo confermò: «Mi descrisse un mondo perduto nella preistoria e disse che in quelle terre erano stati avvistati degli animali orribili e meravigliosi, grandi come elefanti ma pericolosi, in quanto attaccavano gli uomini. Erano bianchi e coperti da un manto di peli. Mammut? feci stranita. Sì, mammut, confermò De Martino. Feroci e con zanne ritorte, forse davorio».
La Pivano telefonò subito a Hemingway. E qui comincia il romanzo: con Hemingway che atterra a Fiumicino, in cerca davventura.
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