Cultura e Spettacoli

Henry James, un americano a Londra

Ecco l’ "Autobiografia degli anni di mezzo" dell’autore newyorkese con la prefazione di Virginia Woolf. Un giovanotto di talento e belle speranze a colloquio con mostri sacri come Carlyle, Spencer e George Eliot

Henry James, un americano a Londra

I fatti principali di quella Londra lontana, come tutti i testimoni dell’epoca sono concordi nell’affermare, stridevano per la loro piccolezza in contrasto con le dimensioni della città, e la scarsità di distrazioni e divertimenti disponibili spingeva i più mondani ad allargare la propria cerchia di conoscenze, formando una società molto accessibile e per certi aspetti estremamente invidiabile. Quali che fossero le ragioni dell’ammissione nei salotti mondani londinesi – sia che si potessero vantare risultati tangibili o semplicemente abilità degne di rispetto – si aveva poi il privilegio d’incontrarvi alcune tra le più illustri figure dell’epoca.
Così, un giovanotto arrivato a Londra solo da qualche mese poteva già vantare d’aver incontrato Tennyson, Browning, Matthew Arnold, Carlyle, Froude, George Eliot, Herbert Spencer, Huxley e Mill. E di averli davvero conosciuti, non soltanto sfiorati nella folla: di averli sentiti parlare, e di aver persino partecipato con qualche battuta alla conversazione. A quell’epoca era consentito un genere di conversazione che, come i sopravvissuti insistono a sostenere, è oggi, nel nostro caos moderno, un’arte completamente sconosciuta. Tra cene e ricevimenti domenicali, e visite in campagna che si prolungavano ben oltre i week-end della nostra generazione, si ponevano così le basi per amicizie poi solidamente costruite e preservate. Forse c’era più la tendenza diffusa d’assicurarsi la compagnia di piacevoli conversatori estremamente ben informati e capaci di spaziare su molti argomenti d’interesse generale: a vantaggio di un’atmosfera diversa dalla ben più informale, intensa e indiscriminata intimità dei nostri giorni.
Si legge di certi piccoli circoli degli anni Sessanta, come il Cosmopolitan e il Century, i cui soci s’incontravano il mercoledì e la domenica sera per discutere delle più scottanti questioni dell’attualità, e ci sembra potessero considerarsi ben più rappresentativi di quanto oggi sarebbe mai possibile. Ci rimane così la sensazione che qualsiasi cosa accadesse in quei giorni lontani, sia nel campo della politica che della letteratura – allora molto più strettamente legate di quanto non lo siano oggi – fosse di fatto promossa e ispirata dai membri di un gruppo. Senza dubbio le risorse di quei tempi – e con che livelli di eccellenza! – potevano contare su una migliore organizzazione: e una ragione, a quanto sembra di capire leggendo le memorie di tali personaggi, stava proprio nella semplicità con cui veniva sancita e accettata la grandezza di certi nomi, imposta a tutti come fosse un dogma.
Una volta incoronato il re della propria cerchia d’amici, a lui era riservata la più completa dedizione e lealtà. E le persone si sarebbero così riversate, unite in gruppi inseparabili, a Freshwater (il vecchio giardino dove oggi ci sono le case di Melbury Road), o in altri luoghi di ritrovo londinesi, continuando per mesi, se non addirittura per una vita intera, a venerare il proprio genio designato. Watts e Burne-Jones governavano su un quarto della città, Carlyle su un altro, George Eliot su un terzo, quasi quanto Tennyson sulla sua isola, imponendo di volta in volta le proprie leggi sugli adepti che li adoravano con sconfinata devozione.
Henry James di sicuro non era tipo da accettare dogmi o da rinunciare al proprio spirito critico. Fortunatamente per noi, ha saputo approfittare non solo della curiosità intellettuale tipica di quegli anni, ma anche del suo approccio distaccato da straniero e del senso critico dell’artista. Se era immensamente ben disposto, restava pur sempre un osservatore immensamente attento e critico. Così capita di trovare tra i suoi ricordi alcuni vividi frammenti delle più grandi figure dell’epoca e, fatto non trascurabile, rivivono accanto a loro anche i personaggi di cui solevano circondarsi. Niente è più felicemente riuscito del ritratto di Mrs.

Greville, che, «con la sua squisita benevolenza e la sua innocente fatuità», era, ovviamente, una persona in carne e ossa, ma al tempo stesso si staglia come rappresentante esemplare di un certo genere d’entusiastica congregazione, portatrice ormai estinta di tutta una serie di vezzi e che oggi, con una sfumatura di malignità – e facendoci forti dell’autorevolezza di Henry James – non esiteremmo a definire assurdi.

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