HENRY MILLER Il vecchio e l’amore

Non saper vivere fino in fondo i nostri desideri più segreti: in ciò consiste per il grande scrittore la vera oscenità

Henry Miller, lo scandaloso autore del Tropico del cancro, è pure autore del castissimo Insomnia, un dolce, terribile monologo sull’amore, uscito ora in italiano per i tipi di Castelvecchi (a cura di Costanza Rodotà, pagg. 126, euro 13). Miller lo diede alle stampe nel 1971, all’età di ottant’anni.
Nel testo, dichiaratamente autobiografico, il narratore racconta di averne settantacinque. Con la solita energia espressiva delle narrazioni maggiori (quelle «oscene»), ma con la concentrazione di un atto unico, Insomnia mette in scena gli spasimi e le pene di un amore senile. L’amata è una non ben identificata ragazza giapponese, che fa spettacoli in un locale notturno. Un’ombra sarebbe più concreta. Diavolessa, usignolo fantasma, idolo dispotico, quella ragazza è un puro simbolo del desiderio insopprimibile. Per Miller l’eros è sempre cimento, tentazione splendida, ma tormentosa. Figuriamoci quanto tormentosa, quanto tragica per un vecchio.
Il sonno sparisce. La fissazione domina le notti. Le parole smettono di significare e lo slancio sensuale esplode in mille mulinanti raffigurazioni come un fuoco di bengala. La voglia si traduce in vaneggiamento. Potenza magica dell’amore! Il prigioniero si libera e comincia a viaggiare nel mondo delle «corrispondenze», un po’ naufrago un po’ eroe. Il maledettismo di Miller - questo erede americano di Rimbaud - è, prima ancora che un costume, un modo di scrivere, di spostare la penna da una cosa all’altra imprevedibilmente. Una provocazione che manda avanti lo stile.
La mobilità è la virtù principale di questo grande scrittore. O forse dovremmo dire la metamorfosi. Dal pensiero della donna, dalle circostanze ben precise di un’esperienza vissuta, si passa, come di incantesimo in incantesimo, al cibo e alla cultura giapponesi, alle citazioni di parole ed espressioni francesi e giapponesi o a quelle di altri scrittori (Hesse, in particolare, e Hamsun), alle canzoni di Frank Sinatra, alle massime della spiritualità orientale... Alla pittura. Quelle notti insonni producono immagini sia mentali sia fisiche. La testa del vecchio innamorato corre, ma anche la mano, seminando macchie di colore sui fogli - gli acquarelli che l’edizione Castelvecchi riproduce dopo il testo di Insomnia (e dopo l’autografo dello stesso testo).
Miller teneva alla sua pittura, che, a dire il vero, non è niente di che, soprattutto se messa a confronto con la scrittura - la scrittura di uno che credeva disperatamente, agonisticamente nello scrivere e non faceva che scrivere, scrivere, scrivere, nella veglia come nel sonno, ora indossando i panni del taumaturgo, ora quelli del ciarlatano, ora quelli del puer logorroico. Però, c’è un legame profondo tra le due, come sempre quando pittore e scrittore sono una persona. Su molti fogli le immagini sono addirittura grovigli di parole, «spesso niente altro che oscuri ritornelli o solitari mugugnii». Ossessiva la presenza di volti e corpi femminili, disposti liberamente nello spazio della rappresentazione. I colori sono quelli di Chagall: rossi, blu, verdi, gialli.
Uno scritto a parte, Cadenza, allegato a Insomnia, fa risalire l’interesse dell’autore per la pittura al periodo prenatale: Miller, o comunque dobbiamo chiamare il narratore, dipingeva sulle pareti dell’utero materno! La donna, ecco il nesso tra le due attività. Miller dipinge come dipingeva il cacciatore primitivo prima della caccia nella grotta. La macchia di colore non significa solo sfogo, non è solo testimonianza di un «pensiero dominante» o eiaculazione sostitutiva, ma è rito propiziatorio, sacrificio sull’altare della brama e ritratto della dea.


In tanto meraviglioso delirio, alla fine, si riconosce un centro lucido e immutabile: la certezza che l’amore costituisca il senso della vita. E con questa certezza subito se ne annuncia un’altra: che non siamo amati e non amiamo mai abbastanza. Questa, per Miller, è la vera oscenità: non saper vivere fino in fondo i nostri desideri più segreti.

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