Basilea - Era una notte umida e buia. Un delegato Uefa presente all'arrivo del pullman russo a Leogang nelle Alpi austriache, sede della nazionale per l'Europeo, riferisce di essersi trovato alla presenza di un gruppo piuttosto distante da una squadra di livello europeo. Nessuna novità: in patria la banda Hiddink era stata quasi allontanata fra lo scetticismo più squallido, la stampa al seguito aveva già bocciato tutti, anche il presidente federale Vitaly Mutko, ritenuto un personaggio goffo e incapace di gestire gli scandali all'interno della federazione. I calciatori poi solo un gruppo di viziati e strapagati oltre ogni merito.
Guus Hiddink, si racconta nei corridoi in quei giorni, non è convinto di continuare dopo Euro 2008, c'è troppa disorganizzazione e nessun talento, praticamente sembra sia tutta colpa del croato Vladimir Petric che battendo a Wembley l'Inghilterra ha consentito alla Russia di qualificarsi, condannandola a presentarsi all'Europeo e a mostrare a tutti la pochezza della sua nazionale.
Adesso, dopo la rutilante notte di Basilea, c'è Guus Hiddink che pontifica. Conosce sette lingue e si sta allenando con il russo, però sabato sera ha sciabolato giù in inglese e hanno dovuto sparargli perché non la finiva più: «Me la immaginavo più difficile». Ha esordito così, stava riferendo della mitragliata all'Olanda. Agli sconfitti aveva già dato, all'uscita dal St Jakob ha accarezzato Van Basten e poi in conferenza ne ha sottilmente tessuto gli elogi: «Generalmente l'Olanda è una formazione impossibile da dominare tatticamente, tecnicamente e fisicamente. Noi, invece, siamo riusciti a prevalere sotto tutti e tre questi aspetti», l'ultima raffica scaricata a alzo zero mentre a Mosca oltre 700 mila persone si stavano abbracciando avvolti nelle bandiere russe. Perfino il presidente Dmitri Medvedev si è congratulato con la squadra per «il gioco magnifico e la superba vittoria».
Guus Hiddink forse è sempre da un'altra parte, ha un ego smisurato, si piace e adesso parla di vittoria storica, lui che ha girato, ha giocato anche nel soccer nei Washington Diplomats e nel San Jose Earthquakes, centrocampista di maniera, niente di speciale. Poi i miracoli li ha fatti in panca, Psv campione d'Europa, Corea quarta al mondiale, tanta paura quando alla guida dei canguri ha costretto l'Italia ai rigori, anche Chelsea e Real Madrid, molta chiacchiera ma anche tanta qualità. Ha preso dalla famiglia, durante l'olocausto i suoi avevano aiutato la comunità ebraica e ora lui è molto rispettato anche in Israele. Una volta, mentre era sulla panchina del Siviglia avvisò gli ispettori che la sua squadra non sarebbe rientrata sul terreno di gioco se prima non fosse stato rimosso uno striscione con la svastica. E naturalmente venne rimosso.
Adesso è lì che si lustra: «Sapevamo di non dovergli concedere troppa libertà nei calci piazzati, ma quando la fatica ha cominciato a farsi sentire, abbiamo commesso qualche errore e quell'unico gol loro è arrivato per colpa nostra». Lui è così, concede sempre poco: «Ma non ci siamo scoraggiati e abbiamo continuato a spingere per arrivare alla vittoria. Un successo ancora più pesante se si pensa che i miei sono così giovani e giocano assieme solo da poche settimane».
Non è solo merito suo, c'era anche Andrei Arshavin, il visionario stilista, e Roman Pavlyuchenko il ballerino della banda, gli altri, da Yuri Zhirkov a Kostantin Zyryanov, tutti da sette, senza esagerare. In patria comunque restano scettici nonostante l'invasione in Piazza Rossa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.