Hillary accetta finalmente la sconfitta, ma recalcitrando, costretta dal partito, dai superdelegati, dai suoi sostenitori. Ieri ha scritto una lettera annunciando per domani un grande evento durante il quale formalizzerà il ritiro dalle primarie e, contemporaneamente, il sostegno a Barack Obama. Con quanto entusiasmo si vedrà, dipendesse solo da lei, basterebbero due minuti. E invece sarà a Washington un grande show, destinato però a lasciare senza risposta l'unica domanda che davvero conta: la Clinton sarà o no il vice di Barack? Il che implica altre questioni: lei lo vuole davvero? E, soprattutto, lui è disposto a offrirle questa opportunità?
Ieri con una nota del suo staff lex first lady ha negato di cercare la vicepresidenza: «La scelta è tutta nelle mani di Obama».
«La decisione verrà presa solo fra qualche settimana», fanno sapere i collaboratori del senatore dell'Illinois, che ha nominato un comitato per la scelta del candidato alla vicepresidenza; un comitato di cui fa parte anche Caroline Kennedy, figlia di John Fitzgerald Kennedy, che nelle ultime settimane è diventata uno dei più ascoltati consiglieri di Obama. L'intenzione del candidato democratico è di lasciare sedimentare le passioni per scegliere con calma la persona giusta.
I rapporti tra Hillary e Barack, peraltro, restano problematici. Mercoledì notte hanno parlato a distanza di pochi minuti davanti al comitato israelo-americano del Public Affairs, ma mentre lui l'ha elogiata a lungo, come sua consuetudine da giorni, lei lo ha nominato appena. Insomma, l'ex first lady non riesce, in cuor suo, a rassegnarsi alla sconfitta. Sono stati due pezzi da novanta del partito, l'ex vicepresidente Walter Mondale e il deputato Charles B. Rangell, entrambi suoi fedelissimi, a costringerla ad accettare pubblicamente la vittoria di Barack, «al fine di preservare l'unità del partito». Lei si è piegata, ma continua a fare le bizze. Ma questa non è certo la strategia più saggia per ottenere l'incarico di numero due, a cui ufficialmente, da lunedì scorso, ambisce. Ma c'è da chiedersi se lo desideri davvero.
Le sue quotazioni appaiono comunque in forte ribasso, come hanno sussurrato confidenzialmente collaboratori di Obama ad alcuni giornalisti del Wall Street Journal.
E ha destato sensazione l'uscita dell'ex presidente Jimmy Carter, secondo cui l'abbinata Obama-Clinton «sarebbe il peggiore degli errori». La sua analisi è netta: «Se prendi il 50% degli elettori che semplicemente non vogliono votare per Hillary e aggiungi quelli che pensano che Barack non sia abbastanza bianco, o abbastanza esperto e che abbia un nome che suona arabo, capisci che l'accoppiata finirebbe per unire i punti deboli di entrambi». Il ragionamento pare fondato: Obama ha bisogno di convincere il pubblico di centro e l'ala destra del Partito democratico, non quello liberal rappresentato dall'ex first lady. E dunque avrebbe bisogno di un vice bianco e più conservatore di lui.
I suoi consulenti elettorali stanno anche valutando l'eventuale impatto sulle elettrici di una rinuncia a Hillary e i primi responsi sembrano rassicuranti: l'impressione è che la maggior parte di loro voterebbe comunque per il primo candidato di colore della storia americana. E poi non va ignorata la questione di Bill Clinton, che è ingombrante in quanto ex presidente e potenzialmente imbarazzante per i finanziamenti ricevuti in questi anni, molti dei quali da personaggi di dubbia moralità o coperti dall'anonimato. Gira voce che Obama, nel caso scegliesse Hillary, pretenderebbe una «confessione» pubblica da parte di Bill.
Ma tra qualche giorno potrebbe essere la stessa Hillary a togliere tutti d'impaccio dicendo «no grazie», soprattutto se si convincesse che Barack è destinato a perdere il duello con John McCain. In questa prospettiva, Hillary avrebbe tutto linteresse a rimanere nell'ombra, per puntare tutto sulle primarie del 2012. A quel punto senza più Obama tra i piedi.
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