Washington - Più che un premio di consolazione, una ricompensa, dovuta peraltro. Hillary Clinton potrebbe diventare il prossimo segretario di Stato. Quella che giovedì sembrava una semplice indiscrezione del'Associated press ieri ha preso consistenza. I due si sono incontrati segretamente a Chicago e fonti del partito democratico confermano che Barack le ha chiesto la disponibilità a ricoprire un ruolo importante nell'Amministrazione, ottenendo una risposta interlocutoria ma certo non negativa. «Voglio fare tutto il possibile per contribuire al successo del nuovo governo», va dicendo da giorni. Barack l'ha presa in parola, anche perché doveva sdebitarsi.
L'ha sconfitta alle primarie, l'ha delusa scegliendo Biden come vicepresidente, non l'ha citata nel discorso della vittoria, nonostante lei e il marito si fossero impegnati a fondo al suo fianco nell'ultima fase della campagna. Nelle scorse settimane si era ipotizzato per lei la nomina a giudice della Corte Suprema o la presidenza di una commissione in Senato o il ruolo di ambasciatore in una grande capitale. L'incarico di ministro degli Esteri è molto più prestigioso e gratifica molto di più il suo ego. Conferisce visibilità, potere, garantisce l'attenzione dei media di tutto il mondo. E sancisce l'unità di un partito fino a ieri diviso e, a tratti rancoroso.
Una mossa brillante a dimostrazione dello spregiudicato pragmatismo di Obama che, vinte le elezioni, sa di non poter beneficiare di un periodo di ambientamento alla Casa Bianca. Bill Clinton impiegò addirittura due anni prima di trovare il passo giusto. Ma l'attuale crisi finanziaria richiede decisioni rapide e una mano sicura. No, Barack non può sbagliare e dunque non può permettersi di scontare l'apprendistato dei suoi inesperti collaboratori. Lo stratega David Axelrod lo seguirà a Washington, ma quasi tutti gli altri saranno congedati, a cominciare dal direttore della campagna David Plouffe, giudicato troppo anti-establishment.
L'offerta a Hillary non è casuale: il presidente eletto sta costruendo una squadra sempre più clintoniana. Il sito «Politico» ha calcolato che dei 47 collaboratori nominati finora ben 31 sono legati alla vecchia amministrazione di Bill. Il chief of staff è Rahm Emanuel, un politico di Chicago, come Obama, ma che durante le primarie parteggiava per Hillary. Il capo del transition team, la squadra che coordina il passaggio delle consegne con il governo Bush, è John Podesta, figura centrale nella Casa Bianca anni Novanta. E scorrendo la lista dei consiglieri spiccano altre vecchie conoscenze, come i due ex ministri del Tesoro Robert Rubin e Larry Summers, che peraltro potrebbe ricoprire nuovamente questo incarico, o come Madelaine Allbright, ministro degli Esteri ai tempi della guerra nel Kosovo, che questo week-end segue per conto del presidente eletto il vertice del G20.
Sfumata la retorica elettorale, gli Usa scoprono un nuovo Obama, realista, determinato, concreto.
Lunedì incontrerà l'altro ex rivale, quel McCain, che, anche nelle fasi più dure della campagna, Barack non ha smesso di stimare, affettuosamente corrisposto. E ora John, dai banchi dell'opposizione è pronto a mantenere la promessa formulata la notte della sconfitta: aiuterà Obama per amore dell'America.http://blog.ilgiornale.it/foa/
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