«Ho fatto diventare Jovanotti una star perché non mi piaceva»

È stato il pioniere delle radio libere, l’inventore di Radio Deejay, lo scopritore di Fiorello, Max Pezzali e i Finley. Ora rivela il suo metodo per individuare i talenti

«Ho fatto diventare Jovanotti una star perché non mi piaceva»

«Al mondo ci sono i professori e i professionisti. I professori pontificano stando seduti, i professionisti agiscono, e io decisamente sono un professionista». Parola di Claudio Cecchetto. Chi più di lui è uomo d’azione, un pasdaran della musica? Pioniere delle radio libere a Milano International, inventore di Radio Deejay e Capital, precursore dei reality, «inventore» di Sandy Marton, Gerry Scotti, Fiorello, Jovanotti, Dj Francesco, Fabio Volo, Max Pezzali e - non ancor pago - oggi del piccolo capolavoro dei Finley. Un superdj che trasforma in oro tutto ciò che tocca. «Ho una tecnica strana che finora non ha mai fallito. Quando ascolto un brano che non mi piace non lo scarto a priori ma mi chiedo: non mi piace perché fa schifo o perché è qualcosa di nuovo? Se la risposta è la seconda vuol dire che il pezzo o l’artista saranno un successone». Con Jovanotti ad esempio è andata così. «Appena l’ho visto mi ha colpito la sua energia. Si muoveva in un modo inimitabile; altri discografici l’avevano contattato ma gli avevano detto: “quando canti devi stare fermo”. Io invece, che vengo dalla discoteca e non sono un dj fighetto, ma amo scatenarmi come lui gli ho suggerito: “Fai vedere a tutti che non bisogna stare attaccati al microfono, salta, balla, scatenati e dimostra chi sei”; così è nato il fenomeno». Che all’inizio fu molto criticato. «La gente dimentica che Jovanotti all’epoca aveva 19 anni, qualsiasi genitore sarebbe stato fiero della sua esuberanza. E poi s’è visto che avevo ragione: non era un pagliaccio ma un guru della sua generazione che sapeva usare l’ironia».
Ecco pronta la ricetta di mr. Cecchetto dunque, provate a copiarla, tanto lui non s’offende. «Io racconto a tutti le mie idee, tanto mi prendono per pazzo, poi però quando si realizzano... Credo che nella vita passino diversi treni, chi si lamenta che i treni non passino non sa quale convoglio sta aspettando. A volte basta un trenino. Torniamo a Jovanotti. Quando l’ho conosciuto aveva inciso un singolo, i suoi discografici spingevano la facciata A lasciando in ombra il lato B, che era un rap veramente nuovo ed esplosivo. Così si perse il suo potenziale».
Ok per il fiuto, ma com’è che uno 35 anni fa si sveglia e decide di fare il dj. «Sin da ragazzino il mio motto è sempre stato: “oh, ragazzi che mortorio mettiamo su un po’ di musica”. Prima ascoltavo i Genesis e i Pink Floyd coi miei amici professori, poi loro sono passati ai Weather Report. Io ho proseguito coi Pink Floyd ma ci voleva concentrazione. Li ascoltavo in camera mia ma ogni pezzo durava mezz’ora; se per caso entrava mia madre, dovevo ricominciare da capo per godere quelle sensazioni. Così mi sono detto: voglio emozioni in tre minuti, voglio la sveltina musicale. Così sono passato al soul di Wilson Pickett, Aretha Franklin. Forse è in quel momento che sono diventato dj». D’accordo il soul, ma a molti non piacciono i suoni troppo disimpegnati. «La musica italiana è troppo lenta, questo è il suo difetto; io vengo dalla discoteca e ho pensato di modernizzarla con un pizzico di dance che tenesse su il ritmo. Così ho fatto con Sandy Marton; volevano utilizzarlo come un manichino perché era di bell’aspetto, invece era il contrario. Ovvero, l’aspetto non doveva essere l’elemento trainante, ma solo il motivo per catalizzare l’attenzione. Ci voleva una canzone che facesse colpo. Suoni divertenti più bellezza: io gli ho adattato People From Ibiza e così è nata la dance italiana». Anche il tormentone - targato sempre Cecchetto - Gioca Jouer ha venduto milioni di copie ed è ancora un classico dell’estate e dei karaoke. «Quest’anno compie 25 anni, e voglio premiarlo con un nuovo video spettacolare, che uscirà in maggio, girato a Hollywood, in India, Cina, Africa, con le mosse più veloci e i comandi in lingue diverse. Vi farà impazzire».
Non molla il Cecchetto forgiato alla scuola sperimentale di Milano International, a 105 dove ha imparato sul serio a fare la radio, alla sua prima creatura Deejay. «A Milano International eravamo dei pazzi scatenati; la legge vietava ancora le radio libere, noi usavamo dei vecchi trasmettitori militari che periodicamente la polizia veniva a sequestrare. Ma i poliziotti erano dalla nostra parte; erano ragazzi e amavano la musica, che a quei tempi Radiorai non trasmetteva mai. La frequenza non si prendeva bene e spesso gruppi di giovani si radunavano sotto la radio per sentirla meglio. Era tutto pionieristico, facevamo le dediche ai ristoranti per farci invitare a mangiare. 105 fu una grande esperienza ma poi, nell’82, le private si sono adeguate al mercato. Per piazzare prodotti per le casalinghe gli sponsor chiedevano musica per casalinghe e così via. Così ho lanciato Deejay, andavo ogni settimana a Londra a prendere i dischi e trasmettevo solo new wave. Mi chiamavano “Radio chimera” ma poi arrivarono i Depeche Mode, i Duran Duran, e allora chi aveva ragione?». Ragione sì, successo a valanga ma anche tanti nemici, soprattutto quando ha lasciato Deejay. «Radio Deejay è stata una mia creazione. Io capisco uno che dice: “non mi va bene quello che fai quindi vado via”, non uno che dice: “non mi piace quello che fai quindi mi prendo le tue cose”. Comunque non ho tempo da perdere coi nemici. Se uno ha dei numeri deve dimostrarlo continuamente. Non si vive di rendita in questo mondo». Così ha lanciato Radio Capital e, per citare soltanto le sue ultime scoperte, Dj Francesco e i suoi tormentoni e i Finley. «Dj è un fiume in piena, ha un’energia incontenibile. Un gruppo come i Finley lo cercavo da cinque anni. Un tempo il motto del punk era: non sappiano suonare? Chissenefrega, col punk suoniamo. Ora c’è un punk con la stessa energia ma ordinato, come quello dei Green Day, e i Finley ne sono il prototipo. Infatti sono andati fortissimo».
E la tv? Va bene che, mettendo le telecamere in radio, in un certo senso ha anticipato i reality, ma della tv che pensa? «Sono un uomo multimediale e amo le sinergie. Così in radio ho scoperto Gerry Scotti e l’ho lanciato in tv. La tv, come il computer, è il massimo per comunicare, sono i programmi che fanno schifo. Mi aspettavo l’arrivo dei reality che sono la conseguenza delle soap sudamericane che hanno invaso il video anni fa. Il reality è un modo per risparmiare; basta un autore e poi i protagonisti diventano attori di se stessi. Comunque mi sono piaciute le prime due Isola dei Famosi e il primo Grande Fratello, invece Amici mi sembra un pretesto per litigare, con poche ambizioni artistiche. Ora vorrei fare con il computer ciò che ho fatto con la radio. Nel 1996 ho lanciato il primo software, faccio un Festival in Internet e tra poco lancerò un programma rivoluzionario: un browser personale». La vita le sorride sempre, ci sarà qualcosa che non le piace... «Io critico tutto ma il mondo è così bello. Basta seguire la natura, anche se i politici cercano di regolamentare tutto. Non si può fumare, bisogna guidare a 30 all’ora. E poi, quando saremo tutti bravi che succederà? ci romperemo le palle. La musica mi aiuta a restare giovane.

Il 2007 è un anno importante per me. Oltre a Gioca Jouer lancerò un nuovo disco di Max Pezzali, il nuovo Finley, una giovane cubana e il singolo degli iUbik, un misto tra i Finley e i Negramaro che sono la mia nuova scommessa».

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