Si chiama premio Ig Nobel e lo patrocina l’organizzazione Improbable research, ricerche improbabili. Ma si pronuncia, e spesso si scrive, Ignobel. Siccomeloattribuiscono qualche settimana prima del premio Nobel che il re di Svezia consegna a Stoccolma, tutti pensano che sia solo una parodia inventata per stupire e divertire, a dispetto dell’austera cornice in cui si celebra: il Sanders Theatre della Harvard University di Cambridge, Massachusetts, il più antico ateneo degli Stati Uniti. Va riconosciuto che le ricerche premiate nel 2008 rafforzano questo pregiudizio. Marie-Christine Cadiergues, Christel Joubert e Michel Franc della Scuola nazionale di veterinaria di Tolosa hanno scoperto che le pulci dei cani saltano più in alto di quelle dei gatti. Dorian Raymer dello Scripps institution of oceanography di San Diego e Douglas Smith dell’Università della California hanno finalmente individuato la formula matematica dell’inspiegabile facilità con cui fili elettrici, cavetti e spaghi si aggrovigliano da soli, creando nodi inestricabili. Geoffrey Miller, Joshua Tybur e Brent Jordan dell’Università del New Mexico hanno comprovato la validità scientifica della teoria secondo cui ledonne diventano più attraenti per gli uomini quando sono all’acme del ciclo ovulatorio: le mance di 18 spogliarelliste prese in esame nelle cinque ore di un turno di lavoro passavano da una media abituale di 250 dollari a 400 dollari nei periodi fertili.
L’Ig Nobel 2008 è stato assegnato a 26 scienziati di tutto il mondo, uno solo dei quali italiano: nonaccadeva dal 2003. Eccolo qui il professor Massimiliano Zampini, docente di psicologia e ricercatore presso il Cimec (Centro interdipartimentalemente cervello) dell’Università di Trento, premiato per uno studio sul crocchio delle patatine. Con sofisticati test di laboratorio, condotti su consumatori volontari, Zampini ha confermato un antico sospetto: i cinque sensi ci ingannano. In questo caso si trattava dell’udito. Le cavie umane credevano di mangiare un prodotto più o meno fresco, più o meno croccante, più o meno buono, a seconda di come percepivano in cuffia il rumore del «croc» amplificato o attenuato. Peccato che le patatine fossero tutte uguali, estratte da un unico tubo di Pringles.
Proveniente dal «triangolo del gusto» di San Giovanni Lupatoto, grosso centro del Veronese che ospita gli stabilimenti Rana (tortellini), Melegatti (pandori) e Vicenzi (biscotti), Zampini, 39 anni il mese prossimo, è un pessimo cuoco ma un discreto gourmet che non disdegnerebbe di assaggiare il pipistrello della frutta, piatto tipico delle Seychelles, piuttosto che le lucertole impanate e gli spiedini di scorpioni in vendita nei chioschi gastronomici di Pechino. «Ho qualche dubbio etico solo per il cane arrosto cucinato in Corea». Ma per la conquista dell’Ig Nobel gli sono servite di più, nonostante ci fosse di mezzo un cibo, le competenze acquisite nel dipartimento di psicologia sperimentale dell’Università di Oxford, dov’è rimasto per tre anni e mezzo prima di approdare nella facoltà di scienze cognitive dell’ateneo trentino, un centro d’eccellenza che impegna psicologi, neurologi, fisici, ingegneri e filosofi. Il Cimec dispone fra l’altro della più potente macchina per la risonanza magnetica funzionale usata in Italia solo a fini di ricerca (3 tesla di potenza, il doppio di quelle impiegate negli ospedali) e recluta volontari disposti a sottoporsi per 15 euro l’ora a indagini sulle attività cerebrali.
Zampini avrebbe dovuto ritirare il riconoscimento
negli Stati Uniti, ma non aveva i soldi né
per i voli né per l’albergo, interamente a suo
carico. E forse il trofeo in sé non valeva neppure
il viaggio: una placca di legno con due targhette
in plastica applicate su entrambi i lati;
quella anteriore avverte che trattasi dell’Ig Nobel,
mentre quella posteriore conferma che
l’iscrizione sul davanti è davvero il premio. Lo
ha perciò ricevuto qualche settimana dopo al
Palazzo Ducale di Genova, durante il Festival
della scienza, dalle mani di David Gross, vincitore
del Nobel per la fisica nel 2004, arrivato in
Italia con una delegazione capitanata da Marc
Abrahams, direttore degli Annals of Improbable
Research e fondatore dell’Ig Nobel.
Non la disturba trovarsi in compagnia di Deborah Anderson della
Boston University school of
medicine, premiata con l’Ig
Nobel per aver dimostrato
che la Coca-Cola, e in particolare
la Diet Coke,è un’efficace
spermicida?
«Ho accettato il premio perché sono abituato a non prendermi
troppo sul serio, anche
se lavoro seriamente. In
ogni caso mai fermarsi al titolo di una ricerca.
I titoli,inclusi
quelli dei giornali, banalizzano sempre.
Per valutare bene
bisogna conoscere l’argomento».
Come mai dal Regno Unito è
tornato in Italia?
«Ho approfittato del cosiddetto
programma “Rientro
deicervelli” varato dal governo
nel 2001, a cavallo tra le
riforme Berlinguer e Moratti. Il preside dell’Università
di Trento, Remo Job, s’è adoperato
per il mio ritorno. Non solo perché avevo già
all’attivo 30 pubblicazioni peer review, cioè
uscite su riviste scientifiche dopo una revisione
paritaria, ma anche perché nei primi quattro
anni è il ministero a provvedere per il 95% alla
mia retribuzione».
Che è di quanti euro al mese?
«Circa 1.500. Contro i 3.600 che percepivo a
Oxford appena assunto».
Ha fatto harakiri.
«Dal punto di vista economico, indubbiamente.
Ci sarà un motivo se a fronte dei 30.000 ricercatori
che l’Italia esporta ogni anno, a tutto il
2006 ne erano tornati circa 500 e quelli che non
sono ripartiti nuovamente non superano la cinquantina».
Che cosa le manca di Oxford?
«La dimensione internazionale, il confronto
con professori e studenti di tutte le nazioni. L’inglese
è la lingua della comunicazione scientifica.
Ho avuto il privilegio di fare ricerca in
un’università dove hanno insegnato molti premi
Nobel».
Compresa la ricerca sulle patatine.
«Esatto. Pubblicata dal Journal of Sensory Studies,
la rivista professionale degli esperti della
percezione statunitensi».
Cofirmatario il professor Charles Spence.
«L’abbiamo realizzata insieme a Oxford. Insegna
nel dipartimento di psicologia sperimentale.
È tra gli scienziati maggiormente prolifici
nel campo dell’interazione fra i sensi: 200 pubblicazioni
all’attivo pur avendo solo un anno
più di me».
Perché il crocchio delle patatine ci inganna?
«Il cibo è l’esperienza multisensoriale per eccellenza.
All’80% lo apprezziamo grazie all’olfatto,
e infatti quando siamo raffreddati non
percepiamo alcun sapore. Il gusto incide solo
per il 20%: le papille della lingua ci trasmettono
le informazioni basilari, dolce-amaro,salato-insipido.
Ma c’entrano anche la vista, come sanno
bene i cuochi che curano le presentazioni
dei piatti, e il tatto: nella bocca abbiamo recettori
del sistema somatosensoriale che ci fanno distinguere
un alimento duro da uno molle. Infine entra
in gioco il quinto senso, l’udito. Perché
una patatina croccante ci sembra più buona?
Non si sa, probabilmente è un fattore legato
all’apprendimento. Spence e io volevamo evidenziare
che il suono può influenzare la percezione
che abbiamo di un cibo».
In che modo ci siete riusciti?
«Innanzitutto dovevamo trovare qualcosa di
commestibile che producesse un suono netto,
familiare. La scelta è caduta sulle Pringles. Anche
per altri motivi: sono uguali in ogni parte
del mondo, non si possono distinguere l’una
dall’altra, e tutte hanno la medesima consistenza.
Abbiamo scelto a caso 20 persone, differenti
per età, sesso e professione. A turno le abbiamo rinchiuse in una cabina isolata acusticamente,
facendogli indossare le cuffie. A ognuna di
loro abbiamo chiesto di dare un morso, uno
solo, a una patatina Pringles e subito dopo di
sputarla. Non dovevano masticarla, per non essere fuorviate dal
sapore. Contemporaneamente
le cavie ascoltavano in cuffia il rumore più o
meno amplificato proveniente dal microfono
posto davanti alla bocca. Dopodiché, su una
scala tarata da 1a 100, dovevano spostare l’indicatore
predisposto su 50 o verso l’alto o verso il
basso a seconda che reputassero la patatina più
o meno fresca, più o meno croccante».
Risultato?
«Più l’impulso sonoro era elevato, più la patatina
risultava gradita in termini di freschezza e
croccantezza. Invece erano tutte uguali, pescate
da un’unica confezione di Pringles. È la prova che
cercavamo: i sensi spesso ci ingannano».
Non è poco scientifico trarre conclusioni definitive
da un unico esperimento?
«Ne ho condotti altri sull’acqua minerale e sugli
spazzolini elettrici che hanno sortito
i
medesimi risultati. Più il rumore
della minerale versata
in un bicchiere era amplificato
in cuffia e più le persone si
convincevano che l’acqua
fosse maggiormente gasata.
Più il rumore dello spazzolino
da denti risultava di tono
basso e più veniva giudicato
piacevole».
Per quale motivo?
«I toni alti sono associati al
rumore prodotto dal trapano
del dentista».
Mi sfugge l’utilità di questi
esperimenti.
«Era interessante stabilire se le risultanze sono
applicabili alle necessità quotidiane».
Lo sono?
«Be’, le aziende che producono spazzolini da
denti porranno attenzione alle frequenze sonore
dei motorini interni e quelle che producono
patatine si preoccuperanno di garantirne una
rumorosa croccantezza. Non a caso gli esperimenti
erano interamente finanziati dalla multinazionale
Unilever, all’università non sono costati
nulla».
Un’utilità mercantile, dunque.
«Non solo. Sappiamo che con l’invecchiamento
decadono le capacità sensoriali. Sappiamo
anche che l’anosmia, cioè la diminuzione della
sensibilità olfattiva, provoca una forte perdita
di interesse per la vita. Si tratta di deficit importanti,
legati agli stati depressivi, perché gli odori
producono emozioni e influenzano l’umore.
Allora perché non pensare di poter recuperare
l’esperienza edonica del cibo lavorando sugli
altri sensi, per esempio l’udito? Vede bene che
c’è anche un’utilità sociale».
Secondo lei le potenzialità del cervello sono
state interamente esplorate?
«No, assolutamente. Da uomo, in modo intuitivo,
direi che è stato esplorato un 10%. Da
scienziatoso soltanto di non saperne abbastanza.
Ancora non abbiamo capito bene come sia
organizzato».
Che differenza c’è fra cervello e mente, fra cervello
e coscienza?
«Può valere la metafora del computer: il cervello
è l’hardware, cioè la macchina, la mente è
il software, il programma che la fa funzionare».
E il software chi l’ha scritto?
«Bella domanda. Sappiamo solo che l’evoluzione
naturale lo ha affinato».
È facile indurre il cervello a credere a cose che
non corrispondono alla realtà?
«Relativamente facile. Daniel Simons e Christopher
Chabris, ricercatori del dipartimento
di psicologia della Harvard University, dieci anni
fa hanno pubblicato su Perception i risultati
di un singolare esperimento. Era stato mostrato
ad alcune persone un filmato della durata di
24 secondi, in cui sei ragazzi, tre vestiti di bianco
e tre vestiti di nero, si lanciano una palla. Chi
guardava aveva l’ordine di contare quanti passaggi venivano effettuati dalla squadra dei bianchi.
Ebbene, in oltre il 90% dei casi le persone,
tutte prese dai palleggi, non si accorgevanoche
nelle immagini a un certo punto compariva un
uomo travestito da gorilla. Eppure lo scimmione
si fermava al centro della scena e si batteva i
pugni sul petto».
Incredibile. E perché non se ne accorgevano?
«Semplice:il gorilla era nero. Tutte concentrate sui giocatori vestiti di bianco,
le persone sottoposte
al test non vedevano nessun altro colore».
Le risulta che leaziende e la pubblicità approfittino
di questa percezione subliminale?
«James Vikary, fondatore della Subliminal
projection company, già nel 1956 propose la
proiezione di messaggi che non raggiungono
la soglia della percezione consapevole, finalizzati
a incrementare la vendita di certi prodotti.
Fece inserire in sovrimpressione all’interno del
film Picnic, interpretato da William Holden e
Kim Novak, le scritte “Drink Coca-Cola” e “Eat
popcorn”, bevi Coca-Cola e mangia popcorn,
ogni 5 secondi e per la durata di un tremillesimo
di secondo, dunque invisibili all’occhio
umano. Dopo sei settimane, la venditadella Coca-
Cola nei cinema era aumentata del 38% e
quella dei popcorn del 37,5%».
Preoccupante.
«Possono esistere elementi che sfuggono alla
nostra coscienza e che influenzano la percezione,
ma in realtà non vi è evidenza scientifica
che diano poi luogo a determinate scelte. Il tentativo
di Vikary è poco attendibile. Primo: non
prevedeva un gruppo di controllo, cioè spettatori
cui non venissero presentati quei messaggi
subliminali. Secondo: mancava il confronto dei
risultati con le medesime sei settimane dell’anno precedente.
Terzo: nonsonostate controllate
parecchie variabiliche potevano influenzare
il comportamento degli spettatori, tipo la temperatura
della sala o le preferenze per i prodotti».
L’esperimento delle patatine
dimostra però che i suoni
influiscono sui nostri comportamenti
senza che noi ce
ne rendiamo conto.
«Sicuramente. Se al ristorante
c’è in sottofondo una
musica che non risulta gradita,
il cibo sarà influenzato negativamente
da quella colonna
sonora. Tant’è vero che
Heston Blumenthal, il cuoco alchimista
dell’inglese The
Fat Duck, giudicato il miglior
ristorante del mondo da una
giuria di 500 tra chef e critici
gastronomici, offriva il pinzimonio
ai clienti dopo averli
provvisti di cuffie e microfono,
in modo da fargli sentire
il rumoredelle verdure masticate: tutti trovavano
le crudità più croccanti».
Si fa un gran parlare degli effetti negativi del
multitasking. La tecnologia può mandare in tilt
il cervello?
«Altroché. Parlare al cellulare, anche col vivavoce,
mentre si è al volante, equivale alla guida
in stato di ebbrezza.
(437. Continua)
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