Hoepli, libraio-editore: «La scuola italiana non insegna a leggere»

Tutto iniziò nel 1870 per merito di Ulrico, «un cittadino milanese con nazionalità e carattere svizzeri»

Un’imponente esposizione di libri distribuita su sei piani con oltre 500 mila titoli in italiano e in lingue straniere su ogni argomento letterario, artistico e tecnico-scientifico: questa è la libreria internazionale Hoepli, fondata a Milano nel 1870 dal libraio-editore svizzero Ulrico Hoepli.
Entrare alla Hoepli - istituzione milanese talmente nota da avere spinto il Comune a intitolare al fondatore la via su cui si affaccia la struttura - è come trovarsi in un mondo a parte. Ci si aggira tra gli scaffali respirando l’impalpabile atmosfera di piacere che avverte chi ama i libri o li cerca per lo studio e il lavoro. Vi si trova di tutto.
Dalla prima sede in Corso Vittorio Emanuele, la libreria si trasferì in Via Berchet e, nel 1958, nel nuovo e attuale negozio, realizzato dagli architetti Figini e Pollini, sotto i portici di via Ulrico Hoepli, colui che, con ammirevole generosità, regalò, nel 1930, alla città lo splendido Planetario - ordinato in Germania alla Zeiss - realizzato dall’architetto Piero Portaluppi e situato nei giardini di porta Venezia.
A raccontarci la storia della famiglia è Ulrico Carlo Hoepli, che, con i tre figli, Giovanni, Matteo e Barbara, dirige ora la libreria e l’attività editoriale, una persona di non comune signorilità, garbata e spiritosa, uno stile di cortesia che si ritrova nel personale addetto alla vendita.
«L’idea geniale di Ulrico Hoepli, il fondatore della società, è stata quella di essere, fin dall’inizio, non solo un libraio ma anche un editore scientifico-tecnico. Guardava agli handbook inglesi. L’Italia del 1870 era ancora un paese con interessi prevalentemente letterari. Il mio avo ha così riempito un vuoto editoriale, quello, appunto delle pubblicazioni tecnico-scientifiche. Merita, a questo proposito, ricordare la fortunatissima edizione del celebre Manuale dell’ingegnere che ha avuto ben 86 ristampe, tutte ampliate, l’ultima composta da tre volumi».
«Ulrico - continua Carlo Hoepli - ebbe così forte il senso dell’avvenire dell’azienda che obbligò, non avendo figli, suo nipote Carlo, che è poi mio nonno, a venire a lavorare a Milano. Poi fu la volta di suo figlio Ulrico, mio padre - chiamato scherzosamente “Ulrico 06”, perché nato nel 1906 - e ora ci sono io Ulrico Carlo». Quanti Ulrico in famiglia… «Non abbiamo avuto molta fantasia coi nomi…».
Cosa ricorda del suo avo? «Non ho ricordi diretti, ma recentemente è uscito un bel film Un’ora sola ti vorrei, girato con una cinepresa di 16 millimetri e diretto da mia nipote Alina Marazzi che raccontando la storia di sua madre, che è mia sorella, parla della nostra famiglia. C’è un’immagine del 1934, un anno prima della morte, che riprende Ulrico Hoepli mentre cammina un po’ zoppicante aiutandosi con un bastone. Il suo sorriso è triste, ma forte, di speranza, convinto che il suo lavoro sarebbe stato continuato dal nipote Carlo. Aveva un carattere malinconico, dovuto soprattutto alla depressione di cui soffriva la moglie Elisa. A volte era burbero, chiuso in se stesso, ma c’è anche chi ha ricordato la sua giovialità. Di sicuro era molto svizzero, preciso. Dopo di lui ci siamo un po’ italianizzati…».
Sicuramente avute avuto dell’affetto per la nostra città: «Il capostipite di famiglia affermava di essere un cittadino milanese con una nazionalità svizzera. Il nostro rapporto con Milano è stato intenso. Triestina mia madre, milanese mia moglie. Sì, abbiamo provato affetto per Milano. Mi spiace, però, che il Planetario sia rimasto chiuso in questi mesi, sono certo che molti avrebbe voluto visitarlo».
Nelle vostre scelte editoriali avete sempre prediletto la scienza e la tecnica. Su Internet è possibile acquistare in tutto il mondo ciò che pubblicate e vendete. Lei pensa che i libri cartacei saranno prima o poi destinati ad essere sostituiti dai mezzi informatici?
«L’elettronica aiuta i libri, ne è un complemento. Pensi allo straordinario avvento di Internet. Ci capita il cliente che dalla nuova Zelanda chiede un manuale delle abbreviature latine. Ma ho fiducia nei libri. Sono pratici, comodi. Non dobbiamo solo credere nello strumento tecnico. La letteratura ci aiuta a rimanere più umani, più vivi».
Una richiesta strana? «Ne abbiamo sempre avute. L’umanità è del resto strana. Penso al Manuale dello struzzo o della jucca… non ricordo neppure cosa sia la jucca, forse un frutto o una pianta africana. A quel tempo l’Italia aveva le colonie e un editore tecnico-scientifico doveva occuparsi anche della jucca».
Tra le ultime pubblicazioni di successo cosa segnala? «Una grammatica elementare della lingua olandese, lingua che a Milano non ha mai trionfato e che ora si sta sviluppando. Da poco abbiamo pubblicato un dizionario cinese-italiano e uno d’italiano-romeno. Abbiamo calcolato male la tiratura. Il successo è stato impensabile».
Ha fiducia nei giovani? «Il problema, non solo in Italia, è la scuola.

I libri si comprano quando si sa leggere e scrivere. Io chiedo solo una scuola dove s’insegni a “leggere” e istituzioni che credano nella cultura. C’è molto da fare se ci paragoniamo ad alcuni stati dell’Europa che ci circondano».

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