Cultura e Spettacoli

HOKUSAI La radiosa alba del Sol Levante

Due volumi raccolgono (in prima edizione mondiale) le vedute del Monte Fuji e i Manga. La grande sensibilità del maestro che colse il «mondo fluttuante di immagini»

Svetta sulle «immagini del mondo fluttuante» la cima fumigante del Fuji-Yama. Si innalza a sessanta chilometri da Tokyo, e a 3776 metri dalle cose umane, il cono perfetto del vulcano. È il punto più elevato del Giappone. Custodisce il mistero del fuoco e il segreto dell’immortalità, la Montagna Sacra. Che lo temono da sempre, sebbene dal 1707 non lanci fiamme né lapilli. E da sempre lo ammirano e lo contemplano, sebbene lo skyline delle megalopoli vada via via confondendone la sagoma tra i grattacieli. Non importa. Resta, più mirabile (se non più vistosa) della città cresciuta a dismisura in verticale, e memorabile quanto l’ultima settecentesca eruzione, la cascata di figure scaturite intorno alla bocca di fuoco dalla matita di Katsushika Hokusai (1760-1849).
È impressa indelebilmente, in caratteri a stampa riprodotti dai disegni che il vecchio maestro, settantenne, eseguì su tavole di legno di ciliegio, nella serie di Le trentasei vedute del Monte Fuji. E conservata invariabilmente nel profluvio di immagini realizzate dal geniale Gakyojin («maniaco del disegno») nella sua prolifica vita d’artista e raccolte nei quindici volumi dei suoi Manga. Tutto materiale depositato nei fondi della Bibliothèque Nationale de France. Estratto e portato alla luce da Jocelyn Bouquillard, brilla ora smagliante in due prime edizioni mondiali: la monografia su Le trentasei vedute del Monte Fuji, edita in Francia da Seuil, in Italia da L’Ippocampo (pagg. 120, euro 15) e l’antologia dei Manga (L’Ippocampo, pagg. 160, euro 15).
Le due raccolte hanno carattere e motivazione, età e destinazione diversi. Realizzate tra il 1829 e il 1832, le trentasei stampe del Fuji, corredate nel 1834 da dieci ulteriori vedute, sono il capolavoro rivoluzionario del sommo pittore. Che metteva sulla tavolozza il nuovissimo pigmento blu di Prussia, in raffinatissime composizioni di perfetto equilibrio geometrico e prospettico. Disegnate invece da sempre (pubblicate a partire del 1812), le figurine che, «stipate come uova di bachi da seta» (Edmond de Gongourt), gremiscono a migliaia le pagine dei Manga e offrono - a prima vista - il taccuino di appunti, l’inventario di intuizioni, l’incubatrice di creazioni ancora da fecondare del visionario genio.
A prima vista. Ma una sola occhiata non basta. E a uno sguardo più paziente non sfuggirà il legame di profonda parentela autoriale, di evidente identità caratteriale, che corre tra opere apparentemente tanto estranee: dipinte le une per celebrare il venerando massiccio, raccolte le altre sotto il titolo di «fumetti». È riduttivo però definire fumetti i Manga. Che alla lettera traspongono «ciò che è interrotto», «frammentario», «privo di un seguito» (Man-) in «disegno» (-Ga). E a rigore traducono su carta, in forma di studi, schizzi, bozzetti estemporanei, un’enciclopedia di illustrazioni: summa iconografica di quel «mondo fluttuante di immagini» (Ukiyo-e) che anima l’universo buddista e scintoista, popola l’orizzonte creativo di Hokusai e brulica ai piedi del suo Fuji.
Così, se le stazioni della sua meditazione poetica intorno al monte sacro si susseguono come le tappe di una ricerca spirituale, i suoi manuali di disegno (destinati a allievi e principianti) si sviluppano come una lunga «iniziazione all’essenza delle cose di questo basso mondo». Le une mostrano la maestà del vulcano dormire sotto la grande onda e sotto il temporale, svegliarsi all’ombra della cryptomeria e tra i ciliegi in fiore, vegliare sul grande emporio di stoffe o sui giardini del tè, specchiarsi nella baia di Edo o nel bacino delle risaie. Gli altri depongono su carta di riso quel che si nascondeva dietro la riva e sotto il pelo dell’acqua: pesci, crostacei, fronde, fiori, conchiglie. Ritraggono i personaggi che recitano la loro parte sul campo coltivato, sui banchi del mercato, in viaggio per mare o in cammino sulle passerelle di legno serpeggianti tra e dighe: pellegrini, cavalieri, samurai, palafrenieri, pescatori, artigiani, contadini.

E se, didatticamente, si vendono come un album di botanica e entomologia, fisiognomica e anatomia, un dizionario di architettura, agricoltura, caricature, un repertorio di gesti, smorfie, passi di danza, mosse di lotta, scene di caccia, sapientemente esibiscono lo stesso spettacolo di cui, dalle sue altezze, gode da sempre il vecchio spirito del vulcano.

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