La holding dei bancomat clonati

Una gang di 16 romeni aveva la base a Ostia e «filiali» sparse nel resto del Paese

Stefano Vladovich

Cinquemila carte clonate per un giro d’affari di milioni di euro. Non solo: sfruttamento della prostituzione e persino un duplice omicidio «su commissione» evitato per un soffio. Diciotto le ordinanze di custodia cautelare in carcere per 16 romeni e 2 italiani emesse dalla Procura di Velletri, 20 i fermi. Un sodalizio criminale di tutto rispetto quello scoperto e stroncato dal Comando provinciale della Guardia di finanza: base operativa in un appartamento nel centro di Ostia e ramificazioni in tutto il territorio nazionale.
Lazio, Emilia Romagna e Basilicata le regioni più «produttive» per la gang di extracomunitari che, d’accordo con alcuni commercianti compiacenti, con poco sforzo otteneva i dati della carte da duplicare. Un’associazione a delinquere in grado di riprodurre in poco tempo le bande magnetiche necessarie ai Pos (point of sale) per gli acquisti. Beni soprattutto tecnologici: hi-fi, telefonia, computer, da riciclare senza problemi a una rete di ricettatori per il 50 per cento del valore reale. Vittime preferite gli americani: turisti o uomini d’affari in transito nel Bel Paese. A farne le spese le maggiori compagnie di credito: American Express, Visa, Master Card, Diners, Cartasì. «I criminali clonavano anche i bancomat - spiega il tenente colonnello Francesco Tudisco, comandante del Gruppo Ostia delle Fiamme gialle -. Il sistema utilizzato è ben collaudato: microtelecamera nascosta all’interno o nelle vicinanze di uno sportello di prelevamento automatico in un istituto bancario e skimmer per la riproduzione». Quest’ultimo, della stessa grandezza di un pacchetto di sigarette, immagazzina e decodifica i numeri dei codici segreti e quelli inseriti nelle bande magnetiche, necessari per ottenere un clone perfettamente funzionante. Dati che poi vengono memorizzati da un computer e immessi nelle carte vergini.
Le operazioni, soprattutto quelle di acquisto tramite carte di credito, avvenivano in città diverse da quelle di residenza del malcapitato. Spesso i clienti truffati si rendevano conto del furto solo il mese successivo, quando veniva emesso l’estratto conto. Una banda di criminali organizzata alla perfezione, o quasi. Per evitare che le forze dell’ordine potessero intercettare i vari collegamenti, i romeni residenti in Italia si avvalevano della collaborazione di connazionali che dalla madrepatria facevano da «ponte» tra i diversi elementi all’apparenza scollegati fra loro. In alcuni casi bastava inviare in Romania un sms con il numero pin di una carta da decriptare per ottenere, pochi giorni dopo, un clone pronto all’uso. Raccolti i dati, dunque, entravano in scena i complici oltre confine che fornivano il duplicato della carta o i codici da immettere sulle nuove schede. Per ricostruire i vari passaggi, i «baschi verdi» di Ostia hanno passato settimane a intercettare le comunicazioni fra i principali sospetti, quelli con base proprio sul Lido di Roma.

E grazie a un’intercettazione telefonica gli inquirenti hanno captato l’ordine di «punire» due donne pronte per essere spedite su un marciapiede ma che dalla Romania si erano ribellate agli aguzzini. L’attività parallela dei malviventi, difatti, ruotava attorno al mondo della prostituzione dell’Est europeo. Sbarchi settimanali nelle principali città italiane fruttavano un’altra fetta di guadagno.

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