Controcultura

Una "Hollywood" molto... gaia e molto vintage

Una "Hollywood" molto... gaia e molto vintage

È pressoché un'equazione: più il sistema tende a essere perbenista, chiuso e bigotto, più si sviluppa la voglia di trasgredire fino all'esagerazione e al trionfo dell'eccesso. Il mondo del cinema americano negli anni '50 era proprio così, una facciata di rispettabilità che non riusciva a nascondere omosessualità, prostituzione, alcolismo, promiscuità a tutti i livelli. La Hollywood del dopoguerra, insomma, è il regno delle marchette disposte a qualsiasi cosa pur di ottenere anche solo il ruolo di comparsa in qualsiasi film, viatico per la celebrità e la ricchezza. La storia ha «passato», per così dire, il malcostume dei ricatti di vecchi produttori nei confronti di formose ragazze; questa Hollywood ne racconta una diversa, in chiave sfacciatamente gay, tra set, ville, piscine, camere d'albergo, motel. Più di mezza Hollywood, secondo la miniserie Netflix in otto puntate, scritta da Ryan Murphy e Ian Brennan, è omo o bisex, sia per denaro sia per autentica vocazione.

Le fonti di tale controstoria del cinema risalgono peraltro ai film e ai libri di Kenneth Anger, figura di culto per la cultura gay più trasgressiva, oggi 93enne, che ha volutamente confuso arte e vita. I suoi film indipendenti - in particolare Inauguration of the Pleasure Dome (1954) e Scorpio Rising (1963) - i due memoir Hollywood Babilonia, manuali di gossip senza freni per un'orgia continua, talmente scandalosi da essere a lungo vietati, l'amicizia intima con il sessuologo Alfred Kinsey, sono solo alcuni episodi di un'esistenza votata all'oltraggio, che certamente ha ispirato soggettisti e sceneggiatori di questa divertente serie dove personaggi e attori sono chiamati con il loro nome.

A cominciare da Rock Hudson, ragazzone dell'Illinois, omosessuale mai dichiarato costretto a sposare la segretaria del suo produttore Henry Wilson, gay pure lui, per coprire i pettegolezzi (fu il primo morto famoso di Aids). Famosi i party notturni nella villa di George Cukor dove accadeva di tutto e dove a una certa ora «sbarcavano» le marchette procurate da tale Ernie West, il cui personaggio si ispira a Scotty Bowers, titolare di una pompa di benzina da dove gestiva incontri clandestini. Meno centrale il ruolo delle donne, compresa una psicotica Vivien Leigh, fermatasi al grande successo di Via col vento.

Questa Hollywood è davvero molto divertente nei suoi eccessi, filmata benissimo e fotografata con effetti vintage che imitano filologicamente lo stile del cinema degli anni '50. Non c'è una storia portante, ma microvicende dei tanti personaggi che si intrecciano - è davvero il caso di dirlo - sullo sfondo della Golden Age americana. Tra i meriti il fatto che l'omosessualità non è trattata in maniera triste e lacrimevole. Avvertenza, siamo nei pressi di un porno-gay molto sexy e poco romantico.

Insomma, c'è da scegliere la serata giusta e la situazione favorevole, però le risate sono assicurate.

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