Hollywood «processa» i giudici incapaci

In «The next three days» Russell Crowe tira fuori di galera la moglie accusata ingiustamente di omicidio E Hilary Swank racconta la storia vera di Betty Anne, laureata in legge per salvare il fratello dall’ergastolo

Hollywood «processa» i giudici incapaci

Mentre da noi s’infiamma la scena giudiziaria, bisognosa di sostanziali riforme, negli Stati Uniti il cinema trova risposte alla drammatica questione d’un sistema legale vecchio e lento. Nel giro di pochi mesi, infatti, sono usciti due film importanti (per cast e budget), che hanno per tema il calvario dei detenuti innocenti, talora mandati direttamente sulla sedia elettrica senza un vero perché. Metterli dentro e buttare via la chiave è gioco da ragazzi anche nella democratica America, così The Next Three Days, thriller di Paul Haggis ora nelle sale e Conviction (Sentenza di colpevolezza), legal drama di Tony Goldwin, presentato ai festival di Toronto e di Londra e in prossima uscita italiana, prendono il toro per le corna.

In entrambi la famiglia si pone come l’unico perno risarcitorio intorno al quale ruotano ingiustizie, ritardi, colpevoli omissioni da spazzar via con leale devozione consanguinea. E se guardiamo ai recenti casi di malagiustizia, che hanno afflitto i nostri tribunali - il caso di Elisa Claps, col fratello e la madre in prima linea a chiedere e a ottenere giustizia è esemplare -, a Hollywood si nota un movimento di pressione relativo. Non a caso l’attrice due volte premio Oscar Hilary Swank (Boys don’t cry, 1999 e Million Dollar Baby, 2004) ha interpretato la vera storia di Betty Anne Waters col supporto degli attivisti di «Innocence Project», associazione Usa non-profit, che dal 1992 si batte per liberare i detenuti incolpevoli. Puntando nuovamente all’Oscar, l’attrice di Conviction si cala nell’ennesima figura femminile forte e determinata. E realmente esistente: è dai tempi di Chiamate Nord 777 (1948), di Henry Hathaway, con Jimmy Stewart ingiustamente accusato dell’omicidio d’un poliziotto e scagionato grazie alla tenacia di sua madre, che gli studi hollywoodiani pescano storie toccanti nel profondo pozzo della vita vera.

Conviction inizia nel 1983, nella cittadina di Ayer, Massachusetts, dove Kenny Waters (Sam Rockwell) è accusato dell’omicidio della vicina di casa. A inchiodarlo, una poliziotta (Melissa Leo, miglior attrice non protagonista agli Oscar con The Fighter): sulla scena del crimine c’è sangue ovunque, la vittima è stata accoltellata trenta volte alla testa, finché non le è schizzato via il cervello. Un delitto efferato, che merita l’ergastolo. Tanto più che il gruppo sanguigno di Kenny è lo stesso trovato in casa della vittima. Per cui, conviction: sentenza di colpevolezza e fine pena, mai. Ma Betty Anne, madre singola, che col fratello minore Kenny ha condiviso ogni umiliazione, non ci sta e si mette a studiar legge: tirerà fuori il fratellino, proprio come Russell Crowe, mattatore di The Next Three Days, tira fuori la moglie, presunta colpevole di omicidio, dal carcere di Pittsburgh. C’è da chiedersi come abbia fatto un’emarginata come la Waters a iscriversi alla Roger Williams University School of Law, 40.000 dollari all’anno, ma questa è real people e la Swank ha lavorato fianco a fianco con la protagonista in carne e ossa di quest’incredibile vicenda. Perché, mentre la sorella devota si laurea in legge, la tecnica del Dna si raffina, ci sarà la riapertura del processo, un nuovo test e nel 2001, Kenny sarà libero. «In America abbiamo un sistema giudiziario debole e non credo nella pena di morte. Quando la gente perde il lavoro, o la casa, realizza che l’unica cosa che ha è la famiglia», ha detto la Swank all’anteprima londinese.

Del resto, la società Usa si basa sulla famiglia come nucleo pragmatico dall’epoca dei pionieri, quando le madri rimanevano sole nei ranch, il fucile appeso al muro. Tra cittadini e legge non circola poi troppa fiducia, se i dati di «Innocence Project» parlano di 266 innocenti fatti liberare, da gennaio a oggi.

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