Silvia Kramar
da New York
Se anche le superstar accettano di ridurre i loro cachet, allora a Hollywood è vera crisi. Dopo aver registrato nel 2005 un calo del 7 per cento negli incassi rispetto allanno precedente, il 2006 si è aperto con la minaccia delle major di ridurre decisamente la produzione. Il timore delle case cinematografiche è che il pubblico stia voltando le spalle al grande schermo per rivolgersi ai video giochi, alla tv di casa e Internet. Insomma, meno pop corn in sala, più nuove tecnologie in salotto: è la techno-battle, come la chiama lindustria californiana, che ha deciso di correre ai ripari. La Sony, ad esempio, è convinta che bisogna «far ordine nel disordine di troppi film». La Disney crede più nel futuro dei cartoni animati della Pixar che non in quello dei lungometraggi, la Abc si lancia nel mondo del digitale televisivo e la vecchia Warner Brothers, che ha svezzato il cinema fin dalla culla, suggerisce la via dei kolossal.
Però, cè un però. Anche un grande film come King Kong, tanto per fare un esempio recente, si è dimostrato una delusione. Certo, la colpa è della cocciutaggine del regista, Peter Jackson, che ha voluto allungarlo oltre le tre ore. Anche Munich, con le sue due ore e tre quarti ha tolto a Spielberg una fetta della sua audience abituale. Il regista di The New World Terrence Malick ha tagliato almeno 20 minuti di spettacolo, senza peraltro riuscire a riconquistare il pubblico.
Il sesso vende ancora e ne vedremo ancora parecchio nel 2006. Finora commediole come The wedding crashers o 40 anni vergine fino al coraggioso I segreti di Brokeback Mountain, i film vietati ai minori hanno fatto sorridere i botteghini.
Ma cè chi, di fronte, alle nuove scelte di Hollywood, non sorride: sono le grandi star, costrette a ridurre i propri cachet miliardari per non far affondare un cinema che l'anno prossimo sarà pieno di remake e di sequel: più di 40 arriveranno nelle sale americane nei prossimi dodici mesi, dieci in più rispetto al 2004.
La Sony è stata la prima a convincere Cameron Diaz e la regista Nancy Meyers a rinunciare al contratto «First dollar» (il «primo dollaro» è un accordo che permette alle star di prendersi una percentuale sugli incassi a partire dai primi giorni di proiezione di un film) per latteso Holiday - con Kate Winslet e Jude Law - la storia di una giovane donna e delle sue scelte sentimentali sbagliate. Altri studios stanno seguendo lesempio della Sony: la Twentieth Century Fox, la Disney e la Warner Brothers stanno riducendo i cachet delle star.
La Paramount ha ridotto anche lo stipendio di Tom Cruise per il terzo episodio di Mission: impossible girato in buona parte in Cina. Tom Hanks, il regista Ron Howard e il produttore Brain Gazer si sono autoridotti il pacchetto azionario scendendo dalla richiesta iniziale del 40 per cento degli incassi globali del Codice Da Vinci, che inaugurerà il Festival di Cannes.
«In media un buon film oggi costa 64 milioni di dollari», ha spiegato Bill Mechanic, l'ex responsabile della Twentieth Century Fox che oggi lavora alla Disney. «E se diamo alle star ed ai registi una percentuale sugli incassi a noi rimane ben poco», ha lamentato.
Saranno così i Tom Cruise, i Brad Pitt e le Cameron Diaz, con la loro generosità a salvare un cinema in crisi? Non tutti ci credono. I bookmaker di Los Angeles sono decisi a puntare, nel 2006, solo su cinque film: il remake di Casino Royale, che il 17 novembre riporterà James Bond sui grandi schermi; Mission: impossible, Il codice Da Vinci, il nuovo sequel di X men e il nuovo Superman. Gli attesi seguiti di altri kolossal come Guerre stellari, Harry Potter e Batman non saranno pronte fino al 2007.
Sopravviverà Hollywood alla fuga del pubblico? «Dobbiamo fare come George Clooney in La tempesta perfetta, ha spiegato Tom Sherak fondatore del Revolution studios.
Ma nel film, Clooney e la sua ciurma finivano proprio nel mezzo dell'onda anomala e non ce l'hanno mai fatta.
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