Cultura e Spettacoli

«Hollywood vuole che diriga Penélope Cruz e Kingsley»

La regista ha ricevuto dagli Usa il copione dello scabroso «The Dying Animal»: «Mi attira, ma in Italia ho in cantiere due film e un libro»

Michele Anselmi

da Roma

Un film tutto americano, in alternativa due film italiani e un romanzo. Cristina Comencini è un vulcano di progetti. Il guaio è scegliere. Come si fa, ad esempio, a rifiutare l’offerta della californiana Lakeshore Entertainment (la stessa di Million Dollar Baby), che la vuole ad ogni costo regista di L’animale morente, anzi The Dying Animal, dal romanzo di Philip Roth? Per lei, dopo La bestia nel cuore, quasi un rintocco del destino, una coincidenza dai riflessi simbolici, la continuazione di un discorso intimo, anche scabroso, sui temi del sesso e della morte. Spiega: «Ho trovato bello il copione che mi hanno spedito. Sensibile, conciso, senza fronzoli, con un ragionevole uso della voce fuori campo. Sarebbe la prima volta che lavoro su una cosa non scritta da me. Ma non sono egotica, la storia mi appartiene molto».
Tra oggi e domani c’è da dare la risposta definitiva, perché gli americani vorrebbero girare a marzo, il che significa trasferirsi subito oltreoceano per mettere a punto la pre-produzione e il cast secondario. Le star in cartellone ci sono già: Ben Kingsley e Penélope Cruz. La Comencini li ha già incontrati, a metà ottobre. «Penélope la conoscevo, ci siamo frequentati a Roma ai tempi di Non ti muovere. È un fiore di donna, fisicamente sembra una ventenne. Kingsley è un bell’uomo di sessantacinque anni. Mi ha fatto i complimenti, m’è parso molto coinvolto. In effetti, sono perfetti per quei ruoli», concede la Comencini. Che aggiunge, quasi ascoltando una vocina di dentro: «Il problema è riuscire a fare il film che ho in testa. Non è che muoio se non vado in America. L’occasione è ghiotta, il romanzo è suggestivo, però devo capire meglio se mi va».
Dopo il Gabriele Muccino di The pursuit of happyness, ecco un altro cineasta italiano chiamato a Hollywood. Capita di rado. Se ne parlò per Salvatores, al quale proposero un western, poi non se ne fece nulla. Nel caso della Comencini, galeotta fu la nomination all’Oscar per La bestia nel cuore. «Mi hanno accolta con affetto, facendomi sentire a casa. Da quando ho un agente americano, poi, sono arrivati molti copioni». Quanti? «Diciamo una quarantina. Non mi sono ancora ripresa dalle conference call». L’animale morente, dice, non è il suo Roth prediletto: «Preferisco Pastorale americana. Ma la storia di David e Consuela è di quelle che arrivano al cuore e lasciano il segno». Chi ha letto il romanzo, edito da Einaudi, sa chi sono David Kepesch e Consuela Castillo. L’uno è un sessantaduenne professore di letteratura, ebreo, animatore di un corso per laureandi chiamato Practical Criticism, nonché volto tv di un certa notorietà. L’altra è una sua studentessa ventiquattrenne di origine cubana, bella, austera, benestante, cosciente del proprio fascino, soprattutto dotata di un seno strepitoso. Lui, che negli anni Sessanta abbandonò il ménage coniugale per aderire ai dettami della rivoluzione sessuale, giurando a se stesso di non coltivare mai più una relazione fissa, vede Consuela come un nuovo trofeo da aggiungere alla collezione. Mentre la corteggia, mostrandole un manoscritto originale di Kafka, riflette sull’inutilità di quelle chiacchiere: perché a contare è «la pura e semplice lussuria». Lei sta al gioco, svelandosi, ritraendosi e infine concedendosi. E a quel punto il maturo professore si ritroverà imprigionato: vittima di un desiderio e di una gelosia mai provati prima.
Sarà interessante vedere come il film reinventerà il progressivo perdersi dell’uomo dentro quel legame erotico imprevisto e squassante. Giacché l’animale morente, che pensavamo fosse Kepesch, nel gioco crudele e straordinario dell’esistenza diventa la giovane amante, colpita da un tumore all’idolatrato seno. «Mi piace l’idea di umanizzare il personaggio, di renderlo un po’ meno cinico e perverso, diciamo un cuore in inverno pronto a sciogliersi di fronte alla bellezza e alla semplicità della ragazza», teorizza la Comencini. C’è il precedente di La macchia umana, altro romanzo di Roth portato sullo schermo con esiti non trionfali: «Non mi impensierisce. Ogni film è una storia a sé», sorride.
E intanto parla volentieri dei due possibili film italiani. «Una è una commedia che vorrei chiamare Bianco e nero. Una storia sulla società italiana che cambia, sulle differenze tra persone, sessi e colori. Dopo le cupezze di La bestia nel cuore, ho voglia di far sorridere, se possibile con leggerezza», spiega. «L’altro è versione cinematografica della mia commedia Due partite, forse con lo stesso cast. Alla sceneggiatura sta lavorando Pasquale Plastino». Infine c’è il romanzo, che sintetizza così: «Per la prima volta racconto una storia d’amore dal punto di vista maschile. Un cinquantenne alle prese con una donna più giovane capace di metterlo in crisi. Ha a che fare con la passione politica, il dopo Muro, i conti col passato».

Anche un po’ con L’animale morente, a pensarci bene.

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