Honduras, scende in campo l’internazionale dei caudillo rossi

Si sono precipitati a Managua per portare il loro sostegno al compagno Zelaya, appena deposto da presidente dell'Honduras per avere cercato di modificare la Costituzione contro il parere del Parlamento e della Corte suprema. Sono Hugo Chavez (Venezuela), Rafael Correa (Ecuador), Daniel Ortega (Nicaragua) ed Evo Morales (Bolivia), i quattro presidenti rossi dell'America latina che, con lo stesso Zelaya e il líder maximo Fidel Castro, formano il nocciolo duro dell'Alba, che sta per l'Alternativa bolivariana per le Americhe, ma che in realtà dovrebbe chiamarsi Alleanza contro gli Stati Uniti. Formano una strana compagnia: Chavez è un ex paracadutista che ha anche lui al suo attivo un golpe, Correa un economista educato negli Usa, Ortega un ex guerrigliero sandinista, Morales un ex coltivatore di coca che si è messo a capo degli indios andini, Zelaya un ranchero spesso vestito da cowboy che si è fatto campione dei poveri.
Hanno in comune il disegno di imporre in America latina una variante del socialismo reale sconfitto in Europa (e responsabile del disastro della stessa Cuba), e soprattutto di contrastare con ogni mezzo l'influenza di Washington nel continente. Hanno lottato ferocemente contro «l'imperialista» Bush, ma considerano un nemico anche Obama, che pure al vertice dell'Oas di aprile si è impegnato a instaurare con Centro e Sudamerica rapporti più sereni (ma non a togliere l'embargo a Cuba). Non possono essere definiti dittatori, perché sono stati eletti democraticamente; ma una volta al potere, hanno tutti adottato metodi autoritari, reprimendo il dissenso, compiendo nazionalizzazioni arbitrarie e usando il danaro pubblico ai loro fini di parte. Sono riusciti a cooptare, grazie alla promessa di aiuti, alcuni staterelli caraibici, St.Vincent, Dominica e Antigua, ma gli altri Paesi del continente governati dalla sinistra, Brasile, Argentina, Uruguay, Cile e Paraguay, hanno preferito prendere le distanze, non condividendo la retorica e lo sfrenato attivismo antiamericano. Alba, originariamente concepita dal caudillo venezuelano e da Castro, si è gradualmente evoluta da progetto di cooperazione economica e sociale in una vera e propria alleanza politica, finanziata dai petrodollari di Caracas. La cacciata a opera dell'esercito, ma su disposizione della Corte suprema, di uno dei suoi ultimi «soci» ha ora messo l'Alleanza di fronte a un test inaspettato. Chavez, dopo avere accusato come da rituale l'America di avere ordito il golpe, ha adombrato la possibilità di un intervento militare se i nuovi padroni dell'Honduras dovessero attaccare la sua ambasciata e Correa gli ha tenuto bordone, ma nessuno crede che attueranno la minaccia. In realtà, Alba si trova nella scomoda situazione di dovere dipendere dalle decisioni di Washington, che nonostante gli evidenti abusi commessi da Zelaya sembra orientata a chiederne il reintegro, almeno fino alla scadenza del suo mandato.
Per quanto aggressivo e vocale, il club dei caudillos rossi non sembra, del resto, attraversare un buon momento.

La diminuzione della rendita petrolifera sta provocando una grave crisi economica in Venezuela, la Bolivia è sull'orlo di una guerra civile tra le province andine e quelle della pampa e Ortega è contestato dai suoi stessi seguaci. Nessuno nega che l'America latina abbia bisogno di riforme economiche ma finora l'applicazione delle ricette bolivariane hanno fatto più danni del liberismo che Alba si propone di combattere.

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