RomaÈ in vista, ma nascosta. Piace a tutti, però non fa il pienone. Il pubblico internazionale la conosce, tuttavia non è popolare. Si tratta di Isabelle Huppert, la cerebrale attrice parigina classe 1955, che incarna un paradosso vivente, da quando nel 1978 Claude Chabrol la lanciò con Violette Noziere nella pleiade francese, illuminata da Isabelle Adjani, storica rivale (e da lei umiliata a Cannes, in qualità di Madame Présidente del Festival) e da Catherine Deneuve. Circondata dallaura della sua fama dinterprete dalla filmografia eccellente (da Preminger a Ferreri, da Godard a Losey, per citare alcuni celebri cineasti, dai quali «la merlettaia» fu diretta in opere impegnative o sperimentali), Isabelle ieri si lasciava truccare nei giardini dellAmbasciata di Francia, prima del lancio de Lamore nascosto, film drammatico di Alessandro Capone da oggi nelle sale.
Disincarnata nel tailleur pantalone blu, leterno algore sul viso tempestato di lentiggini, la diva era attesa al varco italiano dopo le polemiche per la cosiddetta «Palma di Isabelle», ovvero lattribuzione dispotica della Palma doro allaustriaco asso pigliatutto Michael Haneke, pare per una personale devozione dellattrice verso il regista che laveva rilanciata nel 2001 con La pianista (dovera uninsegnante di piano sado-maso). «Contestazioni per la Palma? No, è stata una giuria democratica. Anche se la verità cinematografica non è mai oggettiva», respinge ogni addebito «la donna dei ritratti», come sintitola una sua mostra di foto, delle quali è patita. Quanto a Marco Bellocchio, «anche il suo film potrebbe intitolarsi come il mio, essendo la storia di un amore nascosto. E di un figlio nascosto», dice lei, che ha chiamato i suoi tre figli (nati dal legame con il regista e produttore Ronald Chammah) Lorenzo (come Da Ponte, il librettista di Mozart), Lolita (in omaggio al romanzo di Nabokov) e Angelo, come leroe de Lussaro sul tetto di Jean Giono, ribadendo la matrice intellettuale. «Sono unottima madre», puntualizza la Huppert, che ne Lamore nascosto, tratto dal romanzo di Danielle Girard Madre e ossa, disegna una Medea moderna, odiosa a se stessa e alla figlia. E tra le due donne il rapporto è talmente patologico da condurre al suicidio la più debole, che alla madre dirà: «Impossibile vivere con te, senza sentirsi una merda».
Naturalmente, Isabelle è magnifica quando fa la pazza che si scarnifica le mani davanti alla psichiatra (una Greta Scacchi mortificata dalletà che avanza). «Il legame tra le due è misterioso: evidentemente cè una nevrosi. Ma non si può dire che la madre non ami la figlia. Minteressano i personaggi cosiddetti sgradevoli, perché mi fanno riflettere e reagire. Di solito, i ruoli problematici mattirano: desidero illustrarli, senza fornire risposte. Mi danno nutrimento», spiega la diva, che a Palazzo Farnese ha ricevuto il Nastro dArgento Europeo. Nel film, visto due anni fa alla Festa del Cinema romana, circola unanti-retorica, quanto allamore materno, che si vorrebbe inscalfibile, ma non lo è? «Il messaggio anti-retorico non è così perentorio, ma risulta universale, perché è dellamore materno che si tratta.
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