I 50 anni del mediano del rock che sul palco è un fuoriclasse

Compie oggi 50 anni con la sicurezza di chi ha saputo unire i sogni e il r’n’r, di chi ha legioni di fan proprio perché ha capito che se da grande vuoi fare il cantante non devi per forza diventare il messia. Luciano Ligabue è un tipo semplice, che cavalca la trasgressione senza toccare il confine che separa dannazione e salvezza; alla sua mensa si beve vino gagliardo, si mangia emiliano e si suona con l’urgenza disadorna che è più organica al respiro selvatico del rock che alla poesia dei cantautori. Il suo palmares parla per lui ed è quasi stucchevole citare decine di successi che spaziano dal primo singolo Balliamo sul mondo al megaconcerto al Campovolo di Reggio Emilia (180mila persone e record europeo di paganti per un concerto rock). Per il suo compleanno Ligabue prepara un regalo ai fan, un nuovo cd - a vent’anni da quello d’esordio e a 5 dall’ultimo inedito - in uscita il 7 maggio, di cui il batterista Michael Urbano - con lui dal 2008 - ha anticipato: «In studio ascoltiamo molto i Led Zeppelin, abbiamo già inciso una bellissima ballata lenta e un super rock che farà ballare l’Italia intera».
Ecco la forza di Ligabue, sa divertire e insinuarsi nel cuore dei ragazzi senza dogmi né certezze, per dir cose intime «Fuor d’ogni epopea», ama dire, cosicché diventano epopea per ciascuno di noi». C’è chi crede che uno solo perché è un cantante abbia ricette universali» è il suo credo. Eppure i suoi testi prendono, ti tirano dentro. Non che il Liga mi abbia mai entusiasmato, lo vedevo come un buon incrocio tra Neil Young e Bon Jovi e nulla più. Poi è accaduto quello che un cinquantenne-talebano del blues come me non si sarebbe mai aspettato. Ho seguito il primo show dell’artista del tour nei club del 2006; ero molto prostrato, da sei mesi curavo mia madre bloccata a letto da una grave malattia. I testi del Liga quella notte mi diedero una strana scossa. «Hai un momento Dio?/ No perché sono qua se vieni sotto offro io... Lo so che fila c’è ma tu hai un attimo per me... Almeno di’ se il viaggio è unico/ e se c’è il sole di là/ se stai ridendo io non mi offendo però perché nemmeno una risposta ai miei perché». Parole ingenue se volete, magari troppo semplici per chi va in cerca d’intellettualismi impegnati, ma è la forza della loro quotidianità che te le incolla addosso. All’improvviso mi hanno fatto sentire quella vibrazione che ognuno cerca (o trova casualmente) nelle canzoni.
Anche Il giorno di dolore che uno ha (dedicata all’amico comune e critico musicale Stefano Ronzani, scomparso dopo lunga malattia) che anni fa sottovalutai, m’è esplosa in testa in tutta la sua brutalità («Quando indietro non si torna quando l’hai capito che/che la vita non è giusta come la vorresti te/quando farsi una ragione vorrà dire vivere/te l’han detto tutti quanti che per loro è facile/quando batte un po’ di sole dove ci contavi un po’/ e la vita è un po’ più forte del tuo dire “ancora no”». E le canzoni cosiddette d’amore come Ho messo via («Ho messo via un po’ di legnate/ i segni quelli non si può/che non è il male né la botta ma purtroppo è il livido/ Ho messo via un bel po’ di cose/ ma non mi spiego mai perché/io non riesca a metter via te») sono diventate una piccola panacea.
Il giorno dopo, mentre in redazione descrivevo queste sensazioni nella cronaca del concerto, arrivò la notizia che mia madre se n’era andata, e quelle canzoni per me son diventate l’illusione di condividere col Liga una specie di saggezza spirituale attraverso un’esperienza durissima.

Non vorrei trasformare la sua opera (e il suo compleanno) in un funerale; quei brani mi son rimasti dentro come la sua voce cruda e selvaggia, così come altri hit quali la countreggiante Certe notti o la scoppiettante Tra palco e realtà che descrive al meglio il personaggio e l’uomo («Abbiamo amici che neanche sappiamo/che finché va bene ci leccano il culo/ e poi abbiamo casse di Malox per pettinarci lo stomaco»), uno che sa che le «canzonette» non cambiano il mondo, ma possono lenire un po’ le ferite (si dice che i fan del rock siano eterni bambini) tanto, come dice lui: «non esiste un manuale d’istruzioni per vivere, ognuno se lo scriva da solo».

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