I big dell’oro nero hanno un’anima verde

La notizia è che anche ExxonMobil sembra essersi convertita. E se perfino il colosso americano, da sempre accusato di negare il nesso tra emissioni di gas serra e cambiamenti del clima, ammette ora per bocca del presidente Rex Tillerson che «è prudente sviluppare strategie per affrontare i rischi del mutamento climatico», significa che temi come l’ambiente, le fonti rinnovabili e il risparmio dei combustibili hanno fatto definitivamente breccia nelle strategie delle oil major. Così, mentre dalle nostre parti Eni lancia la sua campagna per l’efficienza energetica e programma di spendere nei prossimi quattro anni 350 milioni di euro in ricerca sul solare e i biocarburanti, in tutto il mondo i maggiori player del mercato petrolifero rispondono a loro volta alla sfida verde a suon di progetti ambiziosi e investimenti milionari. Caso emblematico è quello della britannica Bp, che da anni considera le rinnovabili come un fiore all’occhiello, tanto da modificare il proprio acronimo da British Petroleum in Beyond Petroleum, cioè «oltre il petrolio». Denominazioni a parte, contano i numeri: e quelli snocciolati dalla compagnia parlano di 110 milioni di dollari investiti negli ultimi otto anni, soprattutto nel solare (di cui controlla oggi circa il 10% del mercato globale) e nell’eolico. Non mancano poi le alleanze strategiche, per esempio quella con la DuPont per lo sviluppo di un biocombustibile di seconda generazione, e le joint-venture, come quella con la Rio Tinto per dar vita alla Hydrogen Energy, attraverso la quale sviluppare centrali a idrogeno con sequestro di CO2.
E se Bp dimostra grande attivismo sui temi legati alla sostenibilità ambientale, c’è chi fa anche meglio. Stando alle stime dell’agenzia Reuters, infatti, sarebbe Royal Dutch Shell la major che negli ultimi otto anni ha speso mediamente 160 milioni di dollari in fonti rinnovabili: 1,25 miliardi di dollari. Una cifra che le ha consentito, tra l’altro, di diventare il diciassettesimo fornitore mondiale d'energia eolica, con una capacità installata di 350 Mw. L’attenzione della compagnia anglo-olandese si concentra anche sui biocarburanti: non a caso, ha investito in due società come la canadese Iogen e la tedesca Choren, impegnate rispettivamente nello sviluppo di etanolo dai materiali agricoli di scarto e di biodiesel dai trucioli di legno.
Ma la carica degli eco-petrolieri non si esaurisce qui. E mentre l’americana Conico Phillips ha aderito alla Us Climate Action Partnership, cartello che si batte per l’introduzione negli Stati Uniti di limiti alle emissioni di CO2, i connazionali di Chevron si vantano di aver speso tra il 2002 e il 2006 addirittura due miliardi di dollari per le rinnovabili e l’efficienza energetica.

Una cifra che però gli analisti giudicano irrealistica, stimando in circa un decimo (200 milioni di dollari) gli investimenti effettivi. Discorso analogo per Total, che ama comunicare all’esterno un notevole impegno nelle fonti alternative, a fronte però di una spesa che nell’ultimo quinquennio non ha superato i 100 milioni di dollari.

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