da Bagdad
Dopo quattro giorni di paralisi, l’Irak è tornato a respirare, ma la revoca del coprifuoco proclamato all’indomani dell’attentato al mausoleo sciita di Samarra e il ritorno alla normalità non hanno cancellato del tutto i timori di guerra civile, mentre l’esplosione di violenza settaria ha complicato ancor più le trattative per la formazione del nuovo governo. «Non possiamo avviare negoziati, finché non ci sarà una situazione sul terreno che ci consenta di cominciare a discutere seriamente. Abbiamo bisogno di misure concrete per ristabilire l’ordine, riparare le moschee danneggiate, rilasciare i detenuti e indennizzare chi ha subito la perdita di familiari», ha confermato Nasir Ani, portavoce del Partito islamico iracheno, principale formazione sunnita. Il ministero della Difesa iracheno ha così disposto il dispiegamento dei blindati in alcune zone di Bagdad e impartito l’ordine di arrestare ogni persona armata indipendentemente dal partito a cui appartenga, politico o religioso, e a ovest di Bagdad le forze di sicurezza governative hanno annunciato la cattura a Ramadi di Abu Faruq, che secondo la Tv statale Al-Iraqiya sarebbe stato uno stretto collaboratore di al-Zarqawi. Abu Faruq, un siriano, è stato catturato con altri cinque seguaci di Zarqawi nel capoluogo della provincia sunnita di Al-Anbar.
Alla vigilia della ripresa del processo a Saddam Hussein, il capo del suo collegio di difesa, l’avvocato iracheno Khalil al- Dulaimi, ha invece annunciato che il deposto raìs ha potuto incontrare ieri per ben sette ore i suoi legali di fiducia e che ha perciò deciso di sospendere lo sciopero della fame.
Ma a Bagdad l’attenzione è stata tutta occupata dal ritorno alla vita di tutti i giorni, con la riapertura di mercati, uffici e scuole, l’immediato crearsi di code di fronte alle stazioni di benzina e la ripresa dei collegamenti aerei, dopo la revoca del coprifuoco diurno.
Ma poco dopo la preghiera della sera, due ordigni, qualcuno dice una moto bomba, sono esplosi davanti a una moschea sunnita in un quartiere a maggioranza sciita nell’est della capitale, causando almeno quattro morti e 15 feriti fra i fedeli. Secondo notizie non confermate ufficialmente, gli uccisi dalle due parti sarebbero stati centinaia, e in una visita alla camera mortuaria di Bagdad, alle spalle del ministero della Sanità, un giornalista dell’Ansa ha potuto contare non meno di 84 cadaveri, tutti maschi tra i 12 e i 70 anni d’età, in attesa di essere identificati e consegnati ai familiari.
«Nessuna domanda. Stiamo ricevendo più di 200 cadaveri al giorno, il 90 per cento con ferite d’arma da fuoco, e il loro numero sta aumentando», ha detto uno degli addetti della camera mortuaria dove, in un tanfo di morte insopportabile, decine di corpi sono allineati sul pavimento, ciascuno con attaccato un foglietto con la data d’arrivo e un numero d’identificazione.
Nel cortile, decine di persone si affollano frattanto attorno a una finestra da cui un funzionario della camera mortuaria mostra le fotografie dei cadaveri registrati dopo il 22 febbraio e rimasti ignoti, e qualcuno sostiene che gli uccisi nella sola Bagdad potrebbero essere stati più di 1.500.
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