nostro inviato a Lecce
Interviste. Colloqui. Dichiarazioni. Tonino Screti conversa con la Repubblica, Francesco Prudentino con la Gazzetta del mezzogiorno, mentre il Corriere della sera raccoglie le confidenze di Raffaele Brandi. Nomi pesanti, storici della Sacra Corona Unita. I vecchi boss della criminalità pugliese offrono quotidianamente ai giornali il ramoscello dulivo di una sorta di galateo civile e condannano il killer feroce che ha premuto il telecomando davanti alla scuola di Brindisi. Ma Alfredo Mantovano, ex sottosegretario allInterno e deputato del Pdl, quel ramoscello lo rimanderebbe volentieri indietro.
Perché, onorevole Mantovano?
«Attenzione questi signori sono molti abili: si vestono da agnelli ma in realtà, statisticamente, restano lupi».
Lupi o agnelli ripetono fino alla noia: «Noi non centriamo con la bomba alla Francesca Morvillo. Cosa non la convince?
«Mi preoccupa questa politica di marketing. Questi personaggi, tutti con un curriculum criminale importante, provano ad accreditare limmagine di una Sacra corona meno violenta e sanguinaria di un tempo».
Errore?
«La criminalità pugliese allinizio degli anni 90 sparava con una facilità spaventosa. Fra Brindisi, Taranto e Lecce nel solo 1990 si registrano 150 morti ammazzati. Prudentino, per capirci, era il capo dei contrabbandieri che disponevano di bazooka e radar. E i contrabbandieri arrivarono ad uccidere due finanzieri».
Allora, ma oggi?
«Questo è il punto. Oggi i boss hanno imparato la lezione: meno sangue e unimmagine più vellutata, meno cruenta, e perfino più rispettabile».
O forse sono fuori dai giochi?
«Io spero nella conversione, ma statisticamente il criminale dopo la galera torna a delinquere. E oggi una generazione di boss sta uscendo dal carcere dopo 20, 25 anni dietro le sbarre».
Teme una ripresa?
«Direi che una ripresa cè già. Magari silenziosa. Meno proiettili e più infiltrazioni in villaggi turistici, finanziarie, imprese».
Le parole contro le bombe diventano un biglietto da visita?
«Certo, la criminalità vuole guadagnare consenso sociale. E questa è unoccasione speciale per far dimenticare i morti sciolti nella calce o la bomba sul treno Lecce-Milano, il 5 gennaio 92, che solo per miracolo non fece una strage. Guardi, io allepoca ero magistrato proprio a Lecce e conosco molto bene la violenza inaudita di questi gruppi che oggi raccontano unaltra storia. Così Screti, lex cassiere dei clan, prova a rifarsi il look: partecipa, nientemeno, ai festeggiamenti per la prima comunione dellultimo figlio di Al Bano e ci informa che i ragazzini non si toccano.
Scusi, non è vero?
«In linea generale sì, ma Cosa nostra non ha esitato, per fermare i pentiti, a strangolare e sciogliere nellacido il piccolo Santino Di Matteo».
Le interviste sono messaggi in codice?
«Non lo so. So che i padrini si sono fatti più furbi. E mi pare singolare che un boss del calibro di Raffaele Brandi, come racconta il Corriere della sera, senta limpulso di avvicinare il caposcorta di un pm per dirgli che se li prendiamo noi gli attentatori ce li mangiamo vivi».
I Brandi e i Prudentino cercano una legittimazione?
«Mi pare evidente. Lo Stato ha altri sistemi per raccogliere dai confidenti informazioni. In ogni caso queste uscite hanno il sapore dellexcusatio non petita».
Forse per allentare la pressione sulla criminalità?
«Può essere. Troppi poliziotti e troppi carabinieri in giro. Ma può anche essere che invece la strage di Brindisi sia opera di frange criminali che sfuggono al controllo dei capi».
Le prove?
«La mia è unopinione. Però a Mesagne venne fondata la Sacra corona, di Mesagne sono i pentiti che stanno raccontando i segreti dei boss, a Mesagne, per tornare al consenso, i padrini individuavano le famiglie povere e davano loro contributi a fondo perduto.
I padrini diventano filantropi?
«Credo che si travestano da agnelli per tornare ai loro crimini».
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