Caro Massimiliano, rispondo con ritardo alle tue riflessioni intorno a La Storia in Piazza e al tuo condivisibile monito «ricordati anche dei briganti». A poco più di ventiquattro ore dall'apertura della rassegna e con il programma definitivo mi sento di dirti che abbiamo cercato di mettere i «briganti» un po dappertutto. Vedo di spiegarmi meglio. Le quattro giornate, così come le abbiamo pensate, sono lontanissime da ogni forma di retorica e di agiografia variamente colorata. L'obiettivo è invece di affrontare i temi dell'identità nazionale, dei sentimenti di appartenenza, del rapporto fra stato-nazione e processi di globalizzazione attraverso incontri accessibili a tutti. Se ci pensi bene sono queste le grandi questioni che oggi segnano la nostra vita pubblica e soprattutto con cui, direttamente o indirettamente, ci troviamo a fare i conti ogni giorno. Provare a districarci dentro questi nodi centrali della nostra epoca senza fare accademia ma anche senza semplificazioni strillate, misurarli attraverso lo sguardo lungo della storia, non è soltanto un'operazione culturale e educativa ma (forse) anche (una piccola) opportunità per comprendere meglio un presente e un futuro che tutti percepiamo non facili.
Non si parlerà solo di Risorgimento italiano ma di Francia, Stati Uniti, Medio Oriente, Mediterraneo, dei paesi nati con la fine del totalitarismo sovietico.
Per questo ho scritto che i «briganti» saranno presenti. (...)
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