I «bulli» sono i turchi che attaccano Israele

La Turchia caccia l’ambasciatore di Israele, annuncia che porterà il Paese alla corte dell’Aja e che farà scortare le prossime navi dirette a Gaza contro «il bullo» del Mediterraneo. La Turchia ha dei sostenitori: Hamas e la Jihad Islamica hanno dichiarato che ha fatto benissimo, e che il rapporto Palmer, le 150 pagine stilate della commissione Onu per giudicare le responsabilità nello scontro della Flotilla il 31 maggio del 2010, sono frutto di un complotto sionista. La Turchia in realtà sta mettendo in scena una parata ideologica in cui la condanna di Israele serve al consolidamento della sua nuova politica di potenza. Con l’odio conclamato per Israele Erdogan consolida il suo volto islamico e il rapporto con l’Iran, con cui ha molti trattati e che ha difeso dalle sanzioni. Erdogan, che dal 2003 governa il Paese, ci tiene a dimostrare che il Paese ha cambiato corso, che è il fiero erede dell’impero ottomano dopo essere stato l’unico Paese islamico laico e amico dell’Occidente. Erdogan dette spettacolo con un furioso attacco a Shimon Peres nel 2009 durante un dibattito a Davos. Odio e disprezzo sono stati poi cantati in tutte le tonalità. Ma il rapporto Palmer che chiede a Israele di esprimere il suo rincrescimento e di offrire ricompense, da spazio anche alle posizioni israeliane, perché riconosce che il blocco navale per Gaza è legale, che non c’è crisi umanitaria a Gaza dove gli aiuti potevano essere recapitati altrimenti. Però accusa Israele di risposta sproporzionata.

La Turchia avrebbe potuto accettare «ricompense e dispiacere» che Israele voleva porgere, invece ha chiesto scuse impossibili. La Turchia ha consentito all’Ihh di partire, a Erdogan non si chiede di esprimere neppure rammarico, e lui risponde alla cortesia mettendo alla gogna Israele. Così fan tutti nel mondo dell’estremismo.

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