I burocrati delle lettere sconfitti dalla sua poesia

Emarginata e incompresa in vita, oggi riscoperta e mitizzata. Un saggio illumina i carteggi e i versi di Cristina Campo. Pochi, ma perfetti

I burocrati delle lettere sconfitti dalla sua poesia
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Ci è voluto poco per fare di Cristina Campo (1923-1977) un idolo: scrittrice tesa e pudica, dotata di una intelligenza superba, minata da una mastodontica potenza inquieta, ha difeso a spada tratta la propria temeraria solitudine. Particolare non secondario, Vittoria Guerrini (così il nome di battesimo) era di una bellezza adamantina, da far spavento: ha sedotto orde d’intellettuali (Elémire Zolla, Mario Luzi, Andrea Emo, Leone Traverso…), aveva una visione arcigna, iperconservatrice della liturgia cattolica (con sospiri d’amore per il rito ortodosso), il che ha contribuito a montare la leggenda della stupenda, imperdonabile Cristina che si dona intellettualmente a tutti, ma mai definitivamente ad alcuno.

L’idolatria ha dei riflessi bibliografici sontuosi: pur avendo scritto realmente poco, di Cristina abbiamo moltissimo. Lettere, soprattutto (a Maria Zambrano, a Leone Traverso, a Margherita Pieracci, ad Alessandro Spina), poi articoli, appunti, quaderni, traduzioni (il tutto, o quasi, generalmente pubblicato da Adelphi), perfino biografie (è celebre quella di Cristina De Stefano, Belinda e il mostro, Adelphi, Milano 2002), addirittura corposi siti internet (www.cristinacampo.it, a cura di Arturo Donati e colmo di tanti bei documenti).

Appena credi di afferrarla, Cristina sfugge, si libera e si libra come un falco di cristallo. È come le sue poesie, rarissime e rarefatte, che sono come «inscalfibili pezzi di iceberg» (potete perdonarmi se mi autocito, come un Cesare? Ho antologizzato alcune sue poesie in Maledetti italiani, Il Saggiatore, Milano 2007), una trentina in tutto (raccolte in La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991, insieme alle sue traduzioni poetiche), fondate da questa frase-slogan, «perfezione è una parola che mi ossessiona», e da quest’altra, trapiantata in italiano da Cristina dall’Ars poetica di Ezra Pound, «poesia è l’arte di caricare ogni parola del suo massimo significato».

Per orientarci nella teca bibliografica di Cristina Campo è in uscita presso l’editore Marietti 1820 un volume di Massimo Morasso, In bianca maglia di ortiche. Per un ritratto di Cristina Campo (pagg. 128, euro 14), che ha il pregio di essere lieve e intuitivo. Morasso, che è pure poeta in proprio, non adotta i metodi sbrigativi del giornalista né quelli ingarbugliati dell’accademico con l’obbligo di dimostrare quanto è bravo, e in cinque saggi (sorti in contesti diversi) attraversa tutta la Campo (la straordinaria traduttrice di Efrem Siro e di William Carlos Williams, di Emily Dickinson e di San Giovanni della Croce; la poetessa «piagata di infinito»; l’insuperabile scrittrice di lettere; l’«imperfetta amicizia» con Rainer Maria Rilke) e, soprattutto, ci fa venire voglia di affrontarla e leggerla. In appendice al libro, spicca una saporita Nota di Alessandro Spina, amico fatale di Cristina Campo (il legame è celebrato dal bellissimo Carteggio edito da Morcelliana, Brescia 2007): l’incontro di anime affini scaturì dopo che Cristina aveva letto il racconto Giugno ’40, pubblicato su Paragone nel 1960, «una cosa di qualità molto rara, come da tempo non mi accadeva di leggere».

Ecco, magari attraverso la Campo riuscirete a giungere anche ad Alessandro Spina, il più abile narratore italiano vivente (altro che i gorgheggi di Arbasino o gli starnazzi di Busi), che ha lavorato per decenni in «custodito isolamento». La sua opera terminale e limpida (pubblicata per Mondadori, Rusconi, Ares e Scheiwiller) è radunata ne I confini dell’ombra, edito da Morcelliana quattro anni fa; è in libreria da pochissimo, invece, il Diario di lavoro sotteso all’opera della vita (Morcelliana, pagg. 240, euro 16,5).

Memorabile la frase indirizzata alla Campo (è il 24 marzo del 1963) con cui Spina fa fuori mezza letteratura italiana: «Con Cechov è come se avessi preso il tè per anni; quasi tutti gli autori italiani del Novecento son come persone incontrate sulle colonne di un giornale».

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