Nel 1992, la piemontese Anna Lajolo e il ligure Guido Lombardi decisero di raggiungere uno dei più remoti e piccoli arcipelaghi dell'Atlantico, quello di Tristan da Cunha, per trascorrervi alcuni mesi. Scopo del loro insolito viaggio, lo studio della natura e della popolazione locale e, naturalmente, la storia di questi «scogli» (l'arcipelago, di origine vulcanica, è formato da un'isola isola abitata, Tristan da Cunha, che si eleva fino a 2.060 metri, e dalle minuscole Inacessible Island e Nightingale Island, tutte amministrate dalla corona britannica) ubicati a mezza via tra il Sudafrica e il Sudamerica. Da questa loro esperienza sono nati un servizio di 'Geo' (trasmissione Rai) e due libri: il primo, pubblicato nel 1994 dalla Nuova Eri intitolato L'isola in capo al mondo e il secondo, dato alle stampe nel 1999 in collaborazione con il Museo Marinaro Tommasino Andreatta di Chiavari e l'editore L'obiettivo.ge di Genova, intitolato Tristan da Cunha: l'isola leggendaria.
In quest'ultimo, la coppia ha raccontato con notevole ricchezza di particolari le vicende legate ad una parte degli abitanti dell'isola principale dell'arcipelago, i discendenti di un gruppo di marinai camogliesi naufragati verso la fine del XIX secolo sulle spiagge di questo avamposto di roccia circondato da uno dei mari più infidi del globo.
Tutto cominciò il 4 ottobre 1892, quando il brigantino a palo Italia, con un principio di incendio in una stiva piena di carbone, puntò verso l'arcipelago per cercare una soluzione ai suoi scottanti problemi. Al timone dell'unità era il chiavarese Rolando Perasso che aveva ai suoi ordini un equipaggio composto in gran parte camogliesi, tra cui Andrea Repetto e Gaetano Lavarello. Le manovre di avvicinamento all'isola Tristan da Cunha furono ostacolate dal forte vento e dal mare grosso che, nonostante l'abilità del Perasso, causarono la collisione del brigantino contro le rocce e il suo conseguente naufragio. Ad accogliere i naufraghi furono gli abitanti dell'isola, un variegato gruppo di individui quasi tutti naufraghi o discendenti di naufraghi.
L'isola di Tristan da Cunha deve il suo nome all'ammiraglio portoghese suo scopritore nel 1506. Anche se fu soltanto nel 1643 che si registrò il primo sbarco, da parte dell'equipaggio del vascello olandese Heemstede, approdato per rifornirsi di acqua e viveri. Nel 1650 e successivamente nel 1669, gli olandesi organizzarono due spedizioni sull'isola per fondare una base commerciale, ma l'assenza di un porto sicuro pregiudicò il progetto. Sul finire del XVIII secolo l'isola divenne un punto d'appoggio per i cacciatori di balene. Tuttavia, il primo vero tentativo di colonizzazione risale al 1810 quando l'inglese Jonathon Lambert provò a stabilire sull'isola una stazione commerciale: operazione che vide la partecipazione del primo italiano, il livornese Tomasso Corri da Livorno che, tra l'altro, nel 1813 rimarrà solo a causa della morte dei suoi compagni. Il Corri verrà poi salvato dal vascello Semiramis. Nel 1816, gli inglesi fondarono Fort Malcolm, caposaldo costruito in funzione antifrancese, data la relativa vicinanza a Sant'Elena e al suo illustre ospite forzato, Napoleone Bonaparte. I primi tentativi da parte della piccola comunità (una cinquantina di anime) di commerciare pelli e olio di foca fallirono e successivamente la Guerra Civile americana (1861-1865), che causò la riduzione del passaggio delle baleniere, l'apertura del canale di Suez (1869) e l'introduzione della propulsione a vapore, contribuirono a fare declinare ulteriormente l'importanza dell'arcipelago la cui popolazione passò dai 110 abitanti del 1881 ai 50 del 1892. E proprio quando sembrava ormai certo il rimpatrio in Inghilterra dei superstiti, Gaetano Lavarello colonizzò Inaccessible Island, supplendo alle carenze agricole di Tristan da Cunha. Ad affiancare il Lavarello fu anche Andrea Repetto che nel 1892 aveva anch'egli deciso di restare sull'isola, nel villaggio di Edimburgh. Lavarello e Repetto si unirono in matrimonio con due giovani cittadine di origine anglosassone, Frances Green e Jane Glass, dalle quali ebbero parecchi figli. Un terzo marinaio camogliese, tale Agostino Lavarello, pur essendosi innamorato anch'egli di una bella ragazza di nome Mary Green, tornò in Liguria, dove nel 1930 pubblicò un libro per ricordare il naufragio, ma anche la sua donna abbandonata in mezzo all'Oceano.
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