I cattivi con la pensione: adesso tocca a Mladic

Il criminale di guerra serbo bosniaco incasserà 800 euro mensili come ex generale: la sua famiglia aveva già provveduto a ritirare quasi 50mila euro di arretrati. Da noi nazisti e boss hanno ottenuto denari dallo Stato. Che disse no solo a Riina e al brigatista Curcio

I cattivi con la pensione: adesso tocca a Mladic

A 68 anni, con tanti acciacchi sul­le spalle, anche il generale Ratko Mla­dic deve pensare alla vecchiaia. Diffi­cilmente lo farà da uomo libero tanto presto, ma una delle sue prime preoc­cupazioni dopo la cattura è stata quella di farsi scongelare la pensione da generale. Avete capito bene: il ri­cercato numero uno per crimini di guerra nell'ex Jugoslavia è tornato ad incassare i suoi 800 euro mensili. E la famiglia ha ritirato gli arretrati che sfioravano i 50mila euro.

La leggenda narrava che in caso di cattura il 'guerriero' Ratko, con la pi­stola in pugno, non si sarebbe mai fat­to prendere vivo, oppure l'avrebbe puntata alla testa tirando il grilletto per farla finita. Il boia di Srebrenica, ma 'eroe' per tanti serbi, ha invece reagito in maniera banale arrenden­dosi e chiedendo subito l'assegno so­ciale.

Lo ha rivelato ieri il suo avvocato, Mi­los Saljic, garantendo che lo Stato ser­bo ha già sbloccato la pratica. Mladic è stato arrestato il 26 maggio, ma la scorsa settimana, il figlio Darko ave­va già ritirato, per suo conto, oltre 49mila euro di arretrati dall'Inps ser­bo. Le sue vittime si rivoltano nelle fosse comuni della Bosnia.

Il governo aveva bloccato la pensio­ne del generale solo dal 2005, quan­do il cerchio cominciava a stringersi attorno al super ricercato che ha vis­suto in latitanza gli ultimi 16 anni.

L'aspetto paradossale è che prima dell'arresto i familiari avevano pre­sentato al tribunale di Belgrado una richiesta di morte presunta, proprio per mettere le mani sul gruzzoletto pensionistico e sbloccare alcune pro­prietà del generale sequestrate.

Mladic non è l'unico boia dei Balcani che gode della pensione di vecchia­ia. Molti infoibatori titini o persecuto­ri degli italiani ricevevano regolar­mente l'assegno dell'Inps, dopo esse­re scampati a delle condanne rifu­giandosi in Jugoslavia. Fino al giorno della sua morte, nel gennaio 1999, Mario Toffanin, nome di battaglia 'Giacca”,che nel 1945 massacrò i par­tigiani anticomunisti alle malghe di Porzus, ritirava la pensione dell' Inps. Condannato all'ergastolo e fug­gito in Slovenia incassava 672.270 li­re, dal 1972, per 13 mensilità.

Stesso discorso per Ciro Raner, che aveva seviziato i prigionieri italiani nel lager di Borovnica. In Croazia ha vissuto degnamente con quasi 600mila lire al mese e circa 50 milioni di arretrati. Una decina di boia di Ti­to, in gran parte condannati a pene pesantissime in Italia, hanno vissuto in esilio con la pensione dell'Inps. Pure i criminali nazisti non sono da meno. Il maggiore delle SS Karl Hass, coinvolto nella strage delle Fosse Ar­deatine e poi collaborazionista, pren­deva circa 200mila lire al mese dall' Inps. Ancora più grave il caso di Heinz Barth, un altro ufficiale delle SS, che fece massacrare 642 abitanti del villaggio francese di Oradour. Nel­la Germania unificata scampò all'er­gastolo e ottenne una pensione di in­validità. Dopo l'unificazione il gover­no tedesco non pagò più le pensioni agli ex criminali nazisti. Barth, per un errore, continuò ad incassarla e fu scoperto, ma un tribunale sancì che non doveva restituire il maltolto.

In «Sanguisughe», il libro di Mario Giordano su «le pensioni d'Oro che ci prosciugano le tasche», non man­ca una lunga lista di mafiosi che godo­no dei benefici dell'Inps. Uno degli ultimi casi è quello di Luigi Cimmi­no, superboss napoletano del Vome­ro. Condannato per associazione a delinquere è considerato dall'Inps in­capace di badare a se stesso. «E per questo motivo l'Istituto di previden­za gli versa regolarmente pensione e indennità di accompagnamento», denuncia Giordano.

Nel capitolo «Cosa nostra, pensione loro» si ricorda che titolari mafiosi di pensione sono stati anche Michele Greco, Bernardo Brusca, Procopio

di Maggio e Giuseppe Calò. L'Inps ha detto no solo al capo dei capi, Totò Riina, e a Renato Curcio, fondatore delle Br, che hanno avuto la spudora­tezza di chiedere l'assegno sociale.

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