Politica

I colonnelli provano a mettere Fini sotto tutela

Fabrizio de Feo

da Roma

La partita a poker tra Gianfranco Fini e i suoi colonnelli vive una nuova giornata di passione. E oggi, nel corso della riunione della Direzione nazionale di An, il confronto tornerà ad accendersi e ad arricchirsi di nuove mosse tattiche, politiche e psicologiche.
Sono trascorsi dieci giorni dalla bufera innescata dall’azzeramento dell’organigramma interno e dalla revoca delle cariche fiduciarie. Un colpo di mano, una resa dei conti o una dimostrazione di leadership, a seconda dei punti di vista, che ha lasciato i massimi dirigenti del partito con le polveri bagnate e apparentemente sotto scacco per alcuni giorni. Dopo la quiete apparente, ora la tempesta è di nuovo dietro l’angolo. Le varie destre interne ad An sono infatti pronte a rimettere il discussione le scelte del loro presidente. E a portare un nuovo affondo per recuperare centralità e spazi di potere reale.
Per questo, ieri sera attorno alle 21.30, in due riunioni tenute in contemporanea da Destra protagonista e da Destra sociale, i colonnelli hanno preparato la loro comune strategia di risposta.
La convergenza tra le correnti guidate rispettivamente da Maurizio Gasparri e Ignazio La Russa da una parte e da Gianni Alemanno e Francesco Storace dall’altra, è in costruzione da settimane. E l’ultima prova è arrivata ieri con la nomina di Fabio Rampelli a capogruppo di An in Regione Lazio, «gasparriano» doc votato compattamente anche dalla Destra sociale.
Dopo il primo tentativo in Assemblea nazionale, questa volta i colonnelli sono decisi a piantare paletti precisi alla leadership finiana, giudicata «solitaria e cesarista». Al presidente del partito verrà chiesto, attraverso un documento, di rispettare integralmente lo statuto e di fornire assicurazioni sulla presenza del simbolo di An sulla scheda delle Politiche del 2006. Più nello specifico ci sarà chi ricorderà a Fini che per statuto il presidente di An viene eletto dal congresso convocato ogni tre anni. E siccome sono passati più di tre anni dalle assise di Bologna, Fini sarebbe presidente in prorogatio e dovrebbe perciò limitarsi alla gestione dell’ordinario. Ergo, non ribaltare in pochi giorni l’organigramma del partito. L’obiettivo è «impedire una deriva antidemocratica», dice un colonnello. E ancora: sempre per statuto la carica di segretario amministrativo deve essere ratificata dalla Direzione, cosa che non è avvenuta. Così come a Destra protagonista non dispiacerebbe passare all’elezione diretta dei coordinatori regionali.
Se il braccio di ferro politico è soltanto alle prime schermaglie, alcuni segnali di pace sono stati comunque lanciati da Fini. Ieri, ad esempio, alla fine della sua prima riunione con i neo-nominati coordinatori regionali - a cui ha promesso un partito «meno romanocentrico» e ai quali ha chiesto una «radiografia» dei problemi delle varie federazioni - il vicepremier ha bussato alla porta di La Russa e ha avuto con il capogruppo un colloquio di circa un quarto d’ora. Un riavvicinamento sul piano umano ma anche un’occasione per parlare di politica visto che il capogruppo alla Camera ha comunicato a Fini la volontà delle correnti di mettere a punto un documento comune che sarà, comunque, privo di punte e asperità polemiche nei suoi riguardi.
Il ministro degli Esteri, peraltro, non cerca a tutti i costi lo scontro frontale e ha pronta una mossa distensiva da annunciare in Direzione. Comunicherà che la delegazione di An nell’assemblea costituente del partito unitario sarà composta da venti esponenti di punta del partito, ovvero i ministri, i capigruppo e i presidenti di commissione.

Un modo per tornare a coinvolgere la classe dirigente nelle scelte fondamentali del partito e abbassare la temperatura interna, salita alle stelle nelle ultime settimane.

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