Diamo atto: le istituzioni, sullonda della spinta forte e convinta del sentimento popolare, hanno riconosciuto, hanno reso omaggio, hanno deciso di conferire la medaglia doro. E finalmente Fabrizio Quattrocchi, laltro giorno in prefettura, presenti la mamma Agata e la sorella Graziella, ha ricevuto lonore ufficiale che molti, già da tempo, anzi, fin da subito, quandè caduto sotto i colpi degli aguzzini in Irak il 14 aprile di due anni fa, gli avevano tributato. Eppure, non può ritenersi appagato del riconoscimento chi si è battuto, in tempi insospettabili - An innanzi tutto, daccordo con gli altri partiti del centrodestra, la gente comune indipendentemente dalla collocazione politica, il nostro Giornale - per valutare adeguatamente la figura di Fabrizio e soprattutto quelle parole: «Vi faccio vedere io come muore un italiano», che hanno fatto tacere chi parlava a vanvera di mercenario. Non si può dimenticare, intanto, la lunga gestazione che ha preceduto la decisione favorevole alla medaglia dellallora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, e neanche si può passare sotto silenzio il fatto che lonorificenza poteva essere consegnata a Roma direttamente dal nuovo Capo dello Stato Giorgio Napolitano, e così non è stato. Ma soprattutto è impossibile tralasciare una serie di episodi che fanno capire come molti, autorevoli rappresentanti delle istituzioni abbiano preferito scegliere la strada della rimozione frettolosa della memoria.
È un po come se Fabrizio Quattrocchi e anche quanti, come i nostri Caduti per gli attentati di Nassirya, hanno perso vita in Irak, fossero ricordi scomodi per il Paese «legale» che avrebbe tanto bisogno di santi e di eroi, ma nel frattempo scende a compromessi con i teppisti travestiti da no global e i terroristi neanche travestiti.
E se laltro ieri in prefettura la cerimonia di consegna della medaglia doro è filata via in un amen, in una sala prestigiosa e completamente deserta di Palazzo Spinola, per lasciare spazio e tempo adeguati ai destinatari delle onorificenze di grandufficiale, commendatore e cavaliere, ieri non è sfuggito ad alcuni esponenti di Forza Italia che la promessa solenne di intitolare il 2 giugno una strada cittadina di Chiavari a militari e civili morti a Nassirya sia stata - e non è la prima volta - disattesa.
Va be che anche il Comune di Genova, la città di Fabrizio, si è defilato da tempo dallipotesi di dedicare una via o una piazza al body guard ucciso invocando esigenze superiori di toponomastica, ma almeno il vertice di Palazzo Tursi ha deliberato di intitolare ai Caduti di Nassirya il nuovo parco alla Vetta di Pegli (salvo poi lasciarlo in completo abbandono). Lamministrazione chiavarese, invece - ricordano il coordinatore cittadino degli azzurri Gianluca Ratto, il capogruppo in Comune Emilio Cervini e il consigliere Pierluigi Piombo - aveva accolto nellormai lontano febbraio del 2004 la proposta di Forza Italia di intitolare una strada agli italiani vittime del terrorismo irakeno. Non basta: il sindaco Sergio Poggi, a seguito dei ripetuti solleciti, aveva garantito che «lintitolazione sarebbe stata fatta in via ufficiale in occasione della festa della Repubblica». Ieri, invece, lennesima doccia fredda: il presidente del consiglio comunale Franco Clemente ha comunicato un ulteriore rinvio, «a causa della mancata sistemazione dellarea». Immediata la protesta dei proponenti: «Non parteciperemo - annunciano Ratto, Cervini e Piombo - alla cerimonia commemorativa del 60° anniversario della Repubblica prevista in Comune.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.