Professor Salvatore Casillo, direttore del Centro studi sul falso delluniversità di Salerno, cosa la preoccupa di più in fatto di falsificazioni alimentari?
«Gli ormoni nelle carni che purtroppo sono cancerogeni. Dietro a questa attività ci sono interessi grandissimi e gente senza scrupoli».
Non mangiamo carne sicura?
«La tracciabilità delle carni ci tutela, però negli allevamenti vengono dati ormoni della crescita che fanno assumere peso. E sfuggono ai controlli».
Qual è la carne più a rischio?
«Vitello. Ma qualche anno fa scoprimmo che in certi allevamenti usavano la stricnina per crescere più in fretta i conigli. Per fortuna labbiamo scampata per i polli americani sbiancati con lacido. La Ue li ha bloccati».
Quali sono i falsi culinari più diffusi?
«Lolio di semi sofisticato per diventare extravergine di oliva. Al secondo posto si piazza il vino, al terzo la carne».
Come ci si può difendere?
«Il consumatore non ha armi e non può trasformarsi in investigatore. Leggere letichetta non basta».
E allora?
«Bisogna affidarsi a supermercati conosciuti che avrebbero molto da perdere per uno scandalo. Oppure al salumiere o dal fruttivendolo di fiducia».
Si rischia nei discount?
«Io difendo i discount perché si compra quel che cè scritto: prodotti meno cari perché con ingredienti più scadenti».
Questi scandali spingono la gente nelle fattorie. Può essere rischioso?
«Se scoppia la moda può andare come negli anni 60. Il contadino comprava le uova industriali, le sporcava di letame e poi le rivendeva come fresche di pollaio».
Per una frode che viene scoperta, quante ne rimangono sommerse?
«I controlli sono sempre di più. ma a volte vengono vanificati in tribunale».
In che senso?
«Spesso questi reati cadono in prescrizione. E i pochi che vanno a giudizio si trascinano per almeno dieci anni. Alla fine le pene inflitte sono spesso modeste e difformi da un tribunale allaltro».
Esempio?
«Un ristoratore a Roma ha intossicato una persona per cibo avariato e se lè cavata con 200 euro di multa. La stessa sanzione è stata data dal Tribunale di Torino a un barman che ha servito una Pepsi al posto della Coca Cola».
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