Cronache

I corpi stranieri trasformano Apricale in un borgo da Medioevo del futuro

I corpi stranieri trasformano Apricale in un borgo da Medioevo  del futuro

Sarà perché l’aria inizia a profumare delle dolcezze del Midi francese. O per quel suono che hanno i passi quando battono sull’antico selciato. Forse sarà solo suggestione ma se Apricale svetta in cima alla classifica dei più bei borghi d’Italia, un motivo c’è.
Arroccata nell’entroterra tra Bordighera e Ventimiglia è un gioiello di stradine, di salite e discese strette fra le mura e le antiche porte medievali. Tutto parla d’arte e poesia e Apricale è un polo culturale d’eccezione con spettacoli, concerti e mostre, che d’estate si moltiplicano.
Anche l’arte contemporanea ha trovato qui dimora. Al Castello della Lucertola è in corso (fino al 14 agosto, h. 16-19; 20-22) una mostra a quattro mani - «Corps Etrangers» - che si svolge tra il giardino pensile, il salone del piano superiore e le umide segrete. Qui, in un’atmosfera buia e raccolta, sono esposte le opere di due genovesi, Riccardo Laggetta e Piergiorgio Colombara.
Il primo presenta lavori a metà tra pittura e scultura, che si sviluppano in uno spazio sofferto. Parte da un supporto di ferro battuto sul quale issa il cartone che, una volta dipinto, è paraffinato e montato su plexiglas, per accendersi d’improvvisi bagliori a contatto con la luce. Alla base c’è un irrequieto olio informale dalle cui viscere emergono sottili grafismi - quasi scritture automatiche - e le coordinate delle architetture di quelle «Città invisibili» tracciate da Calvino. Sulla via dell’inafferrabile si colloca anche la ricerca di Colombara, scultore capace di lavorare con ferro, bronzo e ottone ma anche di domare il vetro con eguale grazia. In mostra gli «Exbronzo», dettagli di un vestiario antico: colli, calzari e busti ricavati dalla fusione a cera persa di perfetti modelli di pizzo. Le «Bugie», gabbie di metallo che imprigionano molli mani di vetro e scale issate verso l’infinito su cui arrancano piedi solitari.
Nel salone del piano superiore sono invece di scena due artisti stranieri che riflettono sulla memoria. Il belga Didier Mahieu presenta un ciclo di ritratti realizzati intorno al ricordo di una donna incontrata in un viaggio in Oriente. La memoria di quella bellezza è fissata su carta, fotografata e poi corrosa da acidi, con risultati struggenti e inediti.
L’inglese John Coplans - docente a Berkeley e fondatore della rivista Art Forum - declina il tema della memoria ergendo i dettagli del proprio corpo a protagonisti di fotografie di grande formato.

Senza alcun artificio tecnico, il corpo - mai la testa - è il frammento fragile e vulnerabile su cui si fissano le tracce del tempo.

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