I «cuori neri» uccisi negli anni ’70 commuovono anche Gad Lerner

A Milano il giornalista ex Lc a confronto con La Russa. «Quelle vittime fanno riemergere infelicità che hanno segnato parte della mia gioventù»

I «cuori neri» uccisi negli anni ’70 commuovono anche Gad Lerner

da Milano

Ottocentosedici pagine di pietra, figurarsi le immagini. Quelle che Luca Telese, l’autore di Cuori neri (Sperling&Kupfer, 18 euro) sceglie di proiettare alla presentazione milanese a cui partecipano Gad Lerner e Ignazio La Russa. Alcune sono uno squarcio di luce, come la scritta «Siamo realisti, chiediamo l’impossibile» davanti a giurisprudenza il 16 marzo del ’68, giorno della spedizione dell’Msi contro la sinistra che occupava lettere. Altre sono strazianti, come la madre di Mario Zicchieri («un ragazzino di 16 anni che ha finito su quel marciapiede la sua vita») o della sorella che dopo la tragedia fu anche cacciata da scuola dal preside. Altre ancora sono più di una tragedia greca. Quando sempre la madre di Zicchieri chiede in tv a Valerio Morucci, brigatista poi organizzatore del sequestro Moro, se ricordasse «di aver ucciso un ragazzino che si affacciava alla vita». Non ottenendo risposta («non so, non ricordo»). O le lacrime di Marcello De Angelis mentre racconta del fratello Nanni massacrato dai poliziotti dopo l’arresto e impiccatosi in cella. «Odino», gridava col cranio sfondato aggrappandosi a quella mitologia nordica che aveva riempito i suoi sogni di ragazzo.
Frammenti del «filo di sangue che attraversa un decennio complesso di storia italiana». Quello in cui uccidere un fascista non era un reato. A sinistra, ricorda La Russa, ma anche per qualche giudice («grave che la patente di legittimazione alla violenza antifascista venisse da una scelta extrapolitica fatta dalla magistratura»). Il risultato è nelle prime righe del libro. Telese è un bravo giornalista, titolo e notizia sono già nell’attacco. «Ventuno ragazzi caduti nella guerra spietata degli anni di piombo: mitizzati dai loro camerati, demonizzati dai loro nemici, dimenticati da tutti gli altri». Nell’indice Ugo Venturini, Carlo Falvella, dei fratelli Mattei, Emanuele Zilli, Mazzola e Giralucci, Mikis Mantakas, Sergio Ramelli, Mario Zicchieri, Enrico Pedenovi, Angelo Pistolesi, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Stefano Recchioni, Alberto Giaquinto, Stefano Cecchetti, Francesco Cecchin, Angelo Mancia, Nanni De Angelis, Paolo Di Nella. Si commuove Lerner, allora uno dei dirigenti di Lotta continua a Milano, fin quasi alle lacrime. «Questo libro mi ha provocato dolore. Ha fatto riemergere dosi massicce di infelicità che hanno fatto parte della mia gioventù». E ricorda Sergio Ramelli. Suo coetaneo. Ma anche Roberto Grassi, leader del movimento e mandante di quella terribile spedizione punitiva. Morto suicida forse per il rimorso. E poi i cortei e quel terribile slogan («tutti i fascisti come Ramelli con una riga rossa in capelli»). «Oggi - aggiunge - sono felice che mio figlio giochi in un giardinetto sotto casa che a Ramelli è stato intitolato. Quei morti sono anche nostri morti». Difficile parlare anche per La Russa che Ramelli e Pedenovi conosceva bene. «A destra forse c’era il mito della violenza. A sinistra quello dell’odio. E la nostra parte era figlia di un Dio minore. Ma nel processo Ramelli alla fine abbiamo avuto quello che volevamo: giustizia e non vendetta».
Giustizia. Ma non per tutti. Non Ancora. A Padova Mazzola e Giralucci furono trucidati nel 1974 con un colpo di grazia alla testa per non aver consegnato ai brigatisti gli elenchi degli iscritti al Msi.

Finiti gli anni di piombo, in consiglio comunale la sinistra uscì per non votare la targa ricordo. «Ora l’hanno messa - si accalora Telese, uno che arriva da sinistra -. Ma su un palo a due centimetri dal muro. Per quei morti sono due centimetri di troppo. La misura dell’infamia e dell’oblio».

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