L’ottimismo è il miglior antidoto per la crisi. Lo dice il Censis nel suo rapporto periodico per Confcommercio. Ovviamente tutti annuiranno come automi, magari evidenziando fra i tanti numeri sparati dall’istituto proprio la consueta «sfiducia nella classe politica» (34%) che non si capisce quando mai ci sia stata fiducia e quindi che riflesso di novità abbia sull’economia. Quando però in tempi non sospetti la stessa «ricetta» veniva suggerita da Berlusconi gli sberleffi non si contavano. Verrebbe da dire che sarebbe il caso di prestare più attenzione a quelle che sembrano battute propagandiste del premier quando parla di economia. In fondo anche quando nell’ottobre 2008 il presidente suggerì in modo del tutto irrituale ai risparmiatori di acquistare le azioni di Eni ed Enel, si sprecarono le riprovazioni dei soliti soloni, le reprimende e le interrogazioni parlamentari. Sarà fortuna ma se uno gli avesse dato ascolto quel giorno, adesso avrebbe un guadagno di oltre il 20%. Niente male considerati i tempi.
Preveggenze del premier a parte, ora che le acque dei mercati finanziari sembrano assai più tranquille rispetto sia ai giorni della paura per i debiti bancari del marzo 2009 che ai giorni del terrore per i debiti sovrani dello scorso maggio, forse conviene leggere con più attenzione del solito i numeri del rapporto, perché fotografano quello che potrebbe essere un punto di inversione della crisi. L’analisi del Censis è stata condotta su 1300 famiglie alla fine di giugno e il risultato è univoco: livello generale di fiducia ai minimi e abitudini di spesa in qualche misura intaccate per ben il 75% del campione, che dichiara di aver in diversi modi «messo i remi in barca» spaventato e pessimista per il perdurare della crisi. Tuttavia la parola chiave che emerge dalla lettura dello studio nella sua parte di analisi delle spese è «rimandare». Il 17% dice di aver rimandato spese di ristrutturazione, il 14% ha rinviato l’acquisto di elettrodomestici, addirittura un quarto del campione ha dichiarato di aver rinunciato a spese «essenziali». La sindrome del francescano ha colpito anche molte famiglie ad alto reddito, che pure non avrebbero avuto alcuna necessità di stringere la cinghia.
Il quadro è quello di un «effetto povertà», esattamente il contrario degli altrettanto perniciosi «effetti ricchezza» dove in passato effimeri guadagni da bolle speculative spingevano la gente a fare incautamente il passo più lungo della gamba. In questo caso appare chiaro che (fatti salvi i soliti casi reali che ovviamente in una crisi non mancano) in media gli artefici della stretta siamo noi stessi, intimiditi dalla paura di un mostro che arriverà per strapparci il nostro benessere, dimenticando che la normalità dell’economia è il progresso, non certo l’involuzione e il timore.
L’aspetto positivo di questa situazione (dando per buona la fotografia del Censis) è che si stanno gettando le basi per un forte rimbalzo: i consumi infatti possono in molti casi essere rimandati ma non del tutto cancellati e quando la cappa di pessimismo comincerà a sollevarsi si potrebbe rischiare la corsa agli acquisti, con conseguente minaccia di inflazione: tutto sommato un male accettabile e forse addirittura necessario per far ripartire definitivamente il motore dell’economia.
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