RomaSi è ritrovato solo, come quel contadino che doveva traghettare sullaltra sponda del fiume la capra (il partito) e i cavoli (di Monti). Alla fine Pier Luigi Bersani ce lha fatta anche se, per come sera messa, non è stato affatto un rompicapo da prima elementare. Tenere il lupo (Di Pietro) a bocca asciutta è costato laffondamento della barchetta di centrosinistra messa faticosamente in acqua a Vasto nel mese di settembre. E se il leader rivendica la «generosità» dellappoggio «leale» a Monti da parte del «primo partito del Paese», chiarisce ora che «il nostro orizzonte è invece un appuntamento elettorale», mentre la Lega Nord urla in aula «Vel-tro-ni, Vel-tro-ni».
Il tono del segretario echeggia temi elettorali, perché «Berlusconi forse fa paura a Monti, ma non certo a noi». E Merkel e Sarkozy devono stare attenti a «non affondare tutti», mentre loro e Monti siano avvisati (mezzi salvati), in quanto «non intendiamo rincorrere manovra su manovra perché con la sola austerità senza sviluppo si va contro un muro». Insomma, per indorare la pillola e fronteggiare Di Pietro, Bersani fa mostra di prepararsi a una pugna elettorale. Ma per ora più che mai virtuale, perché nel concreto il Pd è il cane che si sta mordendo la coda: con chi allearsi quando le elezioni saranno vere? Dato laddio al patto con lIdv - dalle cronache designato come «foto di Vasto» - in realtà la gioiosa macchina da guerra è meno gioiosa. A poco vale lapprovazione di un odg comune (accolto dal governo) sullasta per le frequenze tv.
Sullangoscioso paradosso, il segretario sè giocato la faccia alla vigilia della fiducia («chi vota no è contro di me»). Il partito ha risposto con un «sì» unanime e dolente, ma non è un caso che proprio sul duro attacco che il capogruppo Franceschini ha sferrato allIdv si sia registrato un applauso più convinto. Salutato da un tweet di Paolo Gentiloni in presa diretta dallaula: «Uragano di applausi seppellisce Vasto, quando Franceschini critica lopportunismo di Di Pietro». In un articolo sul quotidiano Europa, Gentiloni aveva anche sottolineato come «con il voto di fiducia nulla sarà più come è stato». In ballo non soltanto lalleanza con il populismo opposto a quello leghista, quanto larchitrave sul quale ci si è retti negli ultimi ventanni: «È tramontato - aveva continuato - quel bipolarismo che abbiamo conosciuto nella Seconda Repubblica. E questa fine ha colto il Pd impreparato. La foto ormai ingiallita di Vasto era lultima fiamma di quel bipolarismo al tramonto. Nessuno si sogna più di riproporla oggi, ma altrettanto difficile sarà rilanciarla in futuro».
Dello stesso tenore, anzi entusiasmo per il futuro delle alleanze, i commenti di Giorgio Merlo («esse si definiranno dal comportamento nei confronti del governo») e soprattutto di Marco Follini («il voto toglie di mezzo anche lultimo bullone che era rimasto del famoso palco di Vasto»). Ma trovare una nuova prospettiva sarà un guaio: labbandono dellunico alleato parlamentare a sinistra (ammesso che Di Pietro sia di sinistra) pone il Pd su una traiettoria che sfocia direttamente sul Terzo Polo, scoprendolo impudicamente sul (corposo) versante che va da Vendola ai comunisti di Ferrero. Senza contare il grido di dolore levatosi dal professor Arturo Parisi per la «leggerezza» di unalleanza che «veniva descritta come alternativa di governo pronta alla vittoria». E poi per lincapacità nel «difendere e ritrovare le ragioni dellunità: se la divisione del centrosinistra dovesse annunciare la sua definitiva dissoluzione per il futuro sarebbe la fine del bipolarismo». Fine del bipolarismo e apertura di sconfinate praterie per Di Pietro e chi volesse ritrovare le ragioni di sinistra.
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