I democratici: con Ottaviano «ma anche» coi pm

da Roma

La «bomba» esplode alle otto del mattino. Stordisce un po’ tutti, fa sobbalzare il Pd. Incredulo, imbarazzato, dinanzi alle notizie che giungono da Pescara. Nessuno sa cosa fare, che pesci pigliare. L’arresto di Ottaviano Del Turco, governatore abruzzese - ex sindacalista e socialista, oggi esponente dei democratici - lascia tutti impietriti. E, come se non bastasse, arriva nel giorno del mega-seminario sulle riforme, organizzato da diverse fondazioni e associazioni - pieno zeppo di giornalisti - a cui partecipano i vertici del partito. Insomma, non si scappa. Si dovrà pur dire qualcosa.
Ma le ore passano e le bocche rimangono cucite. E se qualcuno tenta di chiedere un commento, in vario modo viene fatto scansare. E così, Massimo D’Alema, tra i promotori dell’incontro, a metà mattinata risponde con un buffetto sulla guancia ad un cronista, salutando poi con la manina, mentre Dario Franceschini, il vicesegretario, sbuffa e si fa largo quasi con insofferenza. Le lancette girano e iniziano a circolare i primi dettagli dell’inchiesta della Guardia di Finanza, che nei fatti porterà all’azzeramento della Giunta.
All’ora di pranzo, però, il Pd prosegue ancora il gioco del silenzio. Assordante. Dal quale si distoglie alle 17.20, minuto più, minuto meno. «È una notizia che riempie di stupore e amarezza», mette nero su bianco in un comunicato Walter Veltroni, pronto a manifestare la propria «vicinanza umana al presidente Del Turco», auspicando al tempo stesso che «egli sappia dimostrare la sua totale estraneità ai fatti che gli vengono contestati». «Per noi un cittadino, fino all’ultimo grado di giudizio, deve essere considerato innocente», aggiunge il segretario del Pd, che ribadisce «come sempre, la piena fiducia nella magistratura, auspicando che l’inchiesta, nel più breve tempo possibile, conduca a fare piena luce su tutta la vicenda». Dallo scoppio della «bomba» sono passate oltre nove ore. Ma il segnale arriva. E, dopo una manciata di minuti, tocca all’ex presidente del Senato, Franco Marini, abruzzese doc, esprimere la sua personale «sorpresa» e il proprio «turbamento» per l’esito dell’inchiesta legata alla sanità regionale. «Voglio però sottolineare - aggiunge il parlamentare del Pd - che nessuno può essere ritenuto colpevole prima dell’accertamento delle prove e la celebrazione dei processi».
«Le accuse sono pesanti, ma siamo in attesa di capire», commenta il senatore dalemiano Nicola Latorre, che si congeda dai lavori in corso al residence Ripetta guardando al bicchiere mezzo pieno: «L’unica cosa apprezzabile della vicenda - spiega - è che non vi è stata nessuna strumentalizzazione politica».
«È tornata Tangentopoli», tuona però l’ex pm Antonio Di Pietro, che non si lascia sfuggire l’occasione per pronosticare che «è difficile invece che torni “Mani pulite”, dal momento che in Parlamento si fanno le leggi per non fare i processi e invece di occuparsi della giustizia ci si occupa di fermare la giustizia».
In casa Rifondazione, intanto, l’arresto di Del Turco suscita «grandissima emozione e immenso dolore» in Nichi Vendola, governatore della Regione Puglia. Ma l’ex ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, dice invece «una cosa sola, e cioè che l’urgenza della questione morale è più urgente che mai. Una questione, dunque, tutt’altro che archiviata e da archiviare».


«Deve essere successo qualcosa di molto grave», commenta dal canto suo Bobo Craxi, esponente del Partito socialista, che puntualizza: «Per quanto mi riguarda e per quello che conta, Del Turco gode della mia solidarietà e di quella di tanti socialisti in Italia». «Sono state fatte accuse pesanti, da far tremare i polsi», dichiara invece l’ex capogruppo dei Verdi a Montecitorio, Angelo Bonelli, che si augura un processo veloce, affinché «chi deve pagare lo faccia rapidamente».

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