«I dischi? Cambiamo mestiere...»

Buscemi Dischi è l'insegna notissima del negozio pilota della discografia milanese. Da corso Magenta le sue vetrine girano in via Buttinone e in via Terraggio ed espongono cd di musica classica e contemporanea, jazz, blues, pop e rock: in pratica, tutti i suoni registrati di ieri e di oggi. Il momento attuale è tutt'altro che favorevole: alla crisi economica generale si aggiunge una recessione specifica del settore. Per questo ne parliamo con il titolare Mario Buscemi: il quale cerca di non lamentarsi e perfino di scherzare, ma ammette che nei quarant'anni di lavoro dell'esercizio, simili guai non si erano mai visti.
Eppure - tentiamo di obiettare - i giornalisti musicali non hanno mai ricevuto tanti dischi nuovi in promozione come ora. A volte non riescono nemmeno ad ascoltarli con la dovuta attenzione. Come lo spiega?
«I musicisti giovani, compresi quelli poco dotati, fanno carte false per avere un cd a proprio nome, e di solito ci riescono perché il costo ormai non è elevato. Credono che un disco sia fondamentale per farsi un nome, mentre si tratta di una leggenda sempre più sfatata, date le circostanze. Le crisi non mancano mai di avere delle contraddizioni. Ma se lei va in qualche grande emporio dove vendono libri, dischi e altro, non mancherà di notare delle grosse ceste piene di cd “in promozione”, dicono. In realtà sono in eliminazione, roba da buttare messa lì a tre o quattro euro, cioè a niente. Se un cliente cercasse di scartabellarli per davvero, non ce la farebbe. Sono mucchi di centinaia di pezzi».
Quando è iniziata la crisi del disco?
La risposta è sorprendente. «Diciamo pure nel 1998, più di dieci anni fa. I ragazzi hanno cominciato allora a scaricare brani singoli di popular music da internet e ad approfittare di vendite convenienti per corrispondenza. I cultori della musica accademica sono rimasti invece abbastanza fedeli ai cd e ai box, mentre i jazzofili hanno risentito della mancanza sempre maggiore, per naturale estinzione, dei grandi maestri ai quali erano abituati e si sono collocati, per così dire, in una posizione intermedia. Il cd come supporto è destinato a finire e non vedo da quale altro supporto possa essere sostituito. Vuole qualche percentuale? In un decennio le vendite si sono dimezzate, già prima che arrivasse la crisi generale, e dall'anno scorso a oggi c'è stato un ulteriore calo del 15%. È comprensibile perciò che grandi organizzazioni ad hoc, in America e altrove, siano saltate in aria. In Italia ci attendono giorni grami perché, sarebbe inutile negarlo, siamo un paese “analfamusico” per mille ragioni (la musica che non si insegna nelle scuole, per dirne una) e gli appassionati della buona musica sono persone di nicchia».
Come reagiscono le case discografiche?
«Inventano di tutto, come si può immaginare. Ripropongono i dischi migliori del passato in confezioni nuove, offrono collezioni eccellenti a prezzi stracciati, sono attente come non mai agli anniversari e cercano nuovi interpreti. Nel jazz celebrano addirittura, per esempio, i trentennali o i cinquantennali dei dischi storici incisi da personaggi come Benny Goodman, Charles Mingus, Miles Davis, Dave Brubeck ed altri di questo spessore».
E voi rivenditori?
«Abbiamo varie possibilità - si fa per dire - nessuna delle quali è allegra. La più radicale è quella di cambiare mestiere. Si può resistere aprendo un sito internet e vendere per corrispondenza. Noi, per ora, abbiamo messo negli scaffali anche i dvd cinematografici, abbiamo un settore di dischi storici a basso prezzo e un altro di lp singoli e box di vinile puro. Sappiamo di essere un negozio importante, frequentato molto e bene, perciò ci difendiamo come possiamo e teniamo le orecchie e gli occhi aperti».
E gli altri, cioè i negozi più piccoli?
«Mi imbarazza un po' parlarne. Finora non ho visto tracolli come è successo per alcune librerie, ma so bene che qualche concorrente o collega, non so che termine scegliere, oltre ai guai appena visti ha anche quello di affitti assurdi.

Ha chiuso da poco una bella rivendita di via Vincenzo Monti, il Black Saint, però credo che il motivo dell'abbandono sia dovuto alla sua specializzazione esclusiva nel jazz, molto brillante ma forse oggi diventata insostenibile. La verità è che camminiamo su un filo... Speriamo bene».

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